E' un compendio di musica nera questo improvviso, quanto felicissimo, ritorno alle scene di Ronnie Baker Brooks. Al netto dei tanti ospiti che, ben lungi dal riempire vuoti, sottolineano con opportune presenze, lo spirito di ben precisi brani, con questo Times Have Changed, l'ancor giovane Brooks ci ricorda non solo del suo chiaro talento di chitarrista, qui ben bilanciato e opportunamente addomesticato da una sapiente produzione (opera di Steve Jordan), ma ci sorprende con un registro vocale profondamente soulful e ben calato in un contesto moderno.
Spesso coadiuvato da chi ha fatto la storia di Memphis e delle sue sale di incisione (i fratelli Hodges tutti, Lannie McMillan, Michael Toles, Lester Snell), dopo aver aperto questa sua opera del gran ritorno con Show Me A Man, omaggio al Joe Tex del periodo Atlantic (ospite, la chitarra di casa Stax di Steve Cropper), Brooks prosegue con Doin' Too Much, brano che ben figurerebbe tra il più recente repertorio folk-funk dell'arguto Bobby Rush, dove la sparsa, incisiva chitarra del giovane Brooks duetta col canto lievemente ossidato di Big Head Todd Mohr. Nel prosieguo, le due generazioni, quella del padre, Lonnie Brooks, più riflessivo e mellifluo e quella del figlio Ronnie, vivace e nervoso, si confrontano nello strumentale Twine Time. Con la nostalgica Times Have Changed, la chitarra e le atmosfere arrichite da ben arrangiati archi ricordano, con originalità, alcuni lavori anni '70 di B.B. King, Bobby Bland o Little Milton, e l'aggiunta del moderno rapper Al Rapone non fa altro che figurare quale opportuna, manifesta giustificazione dei tempi che cambiano. Pure il moderno funky blues di Long Story Short, benedetto da alcuni pungenti accenti di chitarra che ricordano, come improvvisi lampi di memoria, l'Iceman Collins fu Albert, piacerebbe assai all'ultimo Bobby Rush. Angie Stone compare, prima sommessamente ospite poi sempre più padrona della scena nella lunga, percussiva, sinuosa suite Give Me Your Love, degna del miglior Isahac Hayes.
E, dopo tanto proemio, giungiamo, ora, alla commozione. Il verso iniziale di Old Love, quel “...I can feel your body when I'm lyin' in bed...”, porto con affaticata mestizia dalla voce crepata di Bobby Bland, ormai malinconicamente avviato al tramonto, ma ancora capace di inattese, quanto, brevi e profonde zampate emotive, conferisce un fascino inedito al brano di Eric Clapton, divenuto, qui, inestimabile gemma se si pensa che questa costituisce l'ultima registrazione ufficiale, illuminata dalla drammatica, pensosa chitarra di Brooks, dell'inarrivabile “Blue” Bland. Felix Cavalliere e Lee Roy Parnell contribuiscono a tirare su il ritmo con la scanzonata Come On Up. Wham, Bam, Thank You Sam, delizioso racconto di una spiccia, modernissima donna in carriera (“...she's a hard working woman, with a lot goin' on and when she knows what she wants sure come on strong...”) che, con disappunto maschile (“....she hurt my feelings when we got through, she said don't call me, I'll call you....”), non desidera intralci amorosi a frapporsi tra i suoi edonistici progetti esistenziali. La nostalgia per i tempi andati evocata dal titolo del disco ritorna in chiusura, questa volta declinata in chiave non sociale, ma intima, con una splendida soul ballad dal titolo autoesplicativo, When I Was We. G.R.