Cathy Grier - I'm All Burn - Macallè Blues

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Cathy Grier - I'm All Burn

Recensioni

Il disco raccontato da...

Cathy Grier

CATHY GRIER

"I'm all burn"

CG Music Works Rec. (USA) - 2020

I'm all burn/Get me away/Down on my knees/Backroad blues/Cool trick/Easy come easy go/Key to my survival/Good thing/Happiness blues/Roots run deep/Keep you out/Ode to Billy Joe/What fools do/Protecting my heart/Question of desire/Cathy's bike song

    
Viaggiare dallo stato di New York al Wisconsin, talvolta, può cambiare la vita. Questo è successo a Cathy Grier che, transitata da quelle parti per partecipare, nel 2016, allo Steel Bridge Songfest, folgorata dalla Sturgeon Bay e dalla sua scena musicale, lì ha deciso di trasferirsi. Da allora, ha partecipato a diversi contests, incluso il famoso International Blues Challenge (anno 2018) fino ad arrivare alla pubblicazione, nel 2020, del suo ultimo lavoro I'm All Burn. Malgrado la lunga carriera di chitarrista, autrice e cantante, è un ultimo disco, questo, che suona quasi come un esordio; o, quanto meno, una rinascita.
Prima produzione piena dopo lunghi anni e diversi dischi, I'm All Burn vede Steve Hamilton quale coproduttore e la partecipazione di un nutrito stuolo di musicisti che si uniscono alla band base della Grier, i Troublemakers. Tra questi, troviamo i noti chitarristi Greg Koch e Billy Flynn, il virtuoso dell'Hammond Jimmy Voegeli, l'armonicista Howard Levy nonché Andrew Spadafora, sassofonista dei Tweed Funk e, qui, gran visir della sezione fiati.
Il disco è curatissimo in ogni dettaglio e Cathy Grier si rivela subito autrice efficace e originale, cantante espressiva e chitarrista elegante e verace a un tempo.
Quella che segue, è la chiacchierata che Cathy Grier ha concesso a Macallè Blues.....


 
 
Macallé Blues: Cathy, prima di tutto mi piacerebbe che tu ti presentassi ai nostri lettori. Qual è la tua storia come musicista e cantautrice e come ti definiresti, musicalmente parlando?
Cathy Grier: sono musicista professionista dal 1978. Ho sempre scritto canzoni, sebbene mi piaccia anche interpretare quelle di altri autori. Imparare canzoni altrui è un modo per educare se stessi allo stile, alla composizione, alla forma. Personalmente, mi descriverei come una musicista blues and grooves con lo spirito di un’attivista sociale. Mi sento vicina al blues più che a qualsiasi altro genere musicale perché è  autentico; parla di verità e viene dal cuore. Mi curo di come il messaggio che desidero trasmettere nelle mie canzoni, che parlino di amore o di politica, possa sempre avere a che fare con quella compassione con la quale dovremmo trattarci vicendevolmente e che possa rappresentare anche quell’apertura che consente di vedere il mondo attraverso lenti differenti. La musica può fare pure questo in un modo tanto potente e magico;
MB: ho letto che ‘I’m All Burn’ è il tuo quattordicesimo album: paragonato ai tuoi dischi precedenti, rappresenta qualcosa di speciale o di diverso?  
CG: I’m All Burn rappresenta la mia prima produzione completa, dal 1998 ad oggi, ed è anche il primo disco inciso con la mia band, The Troublemakers. Gli album precedenti erano registrazioni solistiche. Ho sempre sperato di trovare un’etichetta discografica che fosse interessata ad affiancarmi nella mia ricerca di crescita e sviluppo come artista. Siccome questo non è mai accaduto, registrare dischi solisti rappresentava la scelta più accessibile per me dal punto di vista finanziario. Prima di Retracing, del 1998, ho registrato tre live in solitudine, due pubblicati su cassetta e uno su cd. E, nel 1990, ho inciso NY Sessions, disco nel quale ero accompagnata da un’intera band. Negli anni ‘80, invece, i miei dischi erano stati registrati tutti in studio con la mia band, Troia-Grier, e pubblicati su vinile. È sorprendente come, durante tutta la mia carriera, il modo di pubblicare musica sia cambiato: da vinile e cassette ai cd, fino ad arrivare ai downloads digitali e ancora alla distribuzione e al commercio via internet;
MB: qual è l’ispirazione che sta alla base di questo disco?
CG: la mia intenzione era quella di realizzare una produzione con l’intera band che potessimo vendere ai concerti e che potesse aprire le porte anche ad altre possibilità, magari con le radio. Al momento di prenotare lo studio e pensare alla produzione, la mia band, The Troublemakers, stava cominciando a farsi conoscere quale solida live band. Purtroppo, la pandemia ha bloccato tutto e io ho dovuto decidere se cominciare a registrare il disco o se attendere la ripresa dei concerti. Sono lieta di non aver optato per la seconda possibilità perchè, attraverso la pubblicazione del disco e il supporto delle radio ho avuto l’opportunità di acquisire nuovi fans e incontrare persone come te;
MB: dando un’occhiata alla lista dei brani presenti, scopriamo un disco estremamente ricco considerato che contiene, con la sola eccezione di ‘Ode To Billy Joe’ di Bobbie Gentry, ben quindici brani originali. Dunque, la tua qualità di autrice risulta immediatamente evidente….
CG: ti ringrazio; mi fa molto piacere che le mie doti artistiche siano apprezzate. Come cantautrice, cerco sempre di catturare una storia e condividere quest’esperienza attraverso una musica che possa suscitare sensazioni e pensieri agli ascoltatori. Mi piace osservare e, devo dire, che la mia vita mi ha fornito molti spunti sui quali scrivere. Prestare attenzione a ciò che mi circonda, mi offre molta materia sulla quale riflettere e creare. Credo anche che scrivere canzoni sia, soprattutto, un mestiere che richieda disciplina e pratica costanti. Scrivo canzoni da quando ero ragazzina, grazie a un insegnante di scuola pubblica che ci ha sempre incoraggiato a scrivere;
MB: un altro aspetto che emerge immediatamente, è il numero di musicisti coinvolti in questo disco. The Troublemakers, la tua band, certamente, con l’aggiunta dei fiati e di qualche ospite come i ben noti chitarristi Billy Flynn e Greg Koch e il maestro delle tastiere Jimmy Voegeli. Raccontaci un po’ di tutti i musicisti che hanno preso parte a questo progetto discografico?
CG: abbiamo registrato il disco al Makin' Sausage Studio di Milwaukee. Steve Hamilton, il proprietario dello studio nonché ingegnere del suono (e anche produttore, insieme a me, del disco), aveva una lunga lista di musicisti coi quali aveva lavorato. Quelli che si sono uniti ai Troublemakers erano tutti nomi famigliari a Steve e sapevano, dopo aver ascoltato le versioni live delle canzoni, che questa sarebbe stata una produzione divertente. Ed io ero eccitata all’idea che così tanti musicisti fossero disponibili e disposti a mettere a disposizione il loro talento;
MB: infatti, ascoltando il disco, la prima cosa che si nota è che si tratta di un lavoro dal respiro collettivo, fatto di grande musicalità ed eccellenti arrangiamenti….
CG: la musicalità è un aspetto molto importante per me. Il mio stile di produzione mira a catturare l'espressività della persona che sta suonando e a far trasparire la sua qualità. Poi, i miei arrangiamenti lasciano spazio ai musicisti per esprimersi. Tranne nel caso degli arrangiamenti della sezione dei fiati, che devono essere scritti per mantenere le parti ben in ordine;
MB: sempre musicalmente parlando, ‘I’m All Burn’ è davvero un disco ben bilanciato nel senso che, malgrado la varietà di generi presenti, suona assai coeso e coerente...
CG: ci sarebbero state molte altre canzoni che avremmo potuto registrare, ma mi è sembrato che queste potessero meglio catturare l’essenza di quello che sarebbe stato il primo disco dei Troublemakers! Un eclettico mix di ‘blues and grooves’;
MB: oltre che rimarchevole autrice, tu sei anche cantante e chitarrista. Come cantante, devo dire che possiedi un timbro vellutato e versatile che ti consente tanto di essere dolce ed espressiva, ma anche terragna e funky quando necessario.…
CG: la voce è sempre stata il mio principale strumento. Penso di aver sviluppato, negli anni, un mio stile personale. In questo disco, in particolare, ho cercato di puntare di più sul mio registro medio, senza forzare troppo su quello alto, ben più teatrale. Unica eccezione è stata Easy Come Easy Go dove tenere certe note alte era funzionale alla trasmissione di un preciso aspetto emotivo legato alla canzone;
MB: come chitarrista dimostri un approccio e uno stile molto singolari, particolarmente in evidenza in quel brano finale, ‘Cathy’s Bike Song’, l’unico del disco dove ti esibisci in solitudine alla ‘cigar box guitar’….
CG: come chitarrista, penso di avere un mio senso del ritmo e di come questo ritmo si possa inserire e  sposare con l’arrangiamento di ogni singolo brano. Non mi sono mai considerata una macchina da assoli; piuttosto una creatrice di motivi musicali che potessero ben amalgamarsi col contesto specifico della canzone. Con Cathy’s Bike Song cercavo un brano che funzionasse come chiusura dell’album e che potesse ben rappresentarmi. E un brano in solitudine, cantato su una cigar box guitar a quattro corde, mi è sembrata una scelta perfetta. Lì, suono con la slide e lascio che le emozioni del testo suggeriscano il modo di usare lo strumento per veicolare meglio la canzone. L'ho registrata dal vivo in studio;
MB: il resto del cd, invece, è un lavoro collettivo e rappresenta il punto di fusione di diverse influenze che convergono in modo così armonico. Per esempio, ‘Down On My Knees’ e ‘Keep You Out’, sebbene abbiano un tocco funky, suonano come qualcosa che parrebbe uscito dagli studi di Muscle Shoals dei bei tempi….
CG: in effetti, il disco è un bel crogiolo di stili ma immagino che, dopo decenni di esercizi a scrivere ed esibirsi in un certo modo, questo sia il minimo che si possa ottenere da un album come questo! Volevo un disco che potesse ricordare quel suono e quel modo vecchio stile di produrre; qualcosa che potesse catturare l’onestà di ogni canzone. Steve Hamilton ha uno studio fantastico con un sacco di strumentzione retrò e abbiamo registrato con una certa attenzione all'efficienza. Ho autoprodotto l'album, dunque il mio budget ha comportato alcuni compromessi;
MB: però, affronti anche territori più spiccatamente blues: per esempio, ‘Backroad Blues’, un impertinente e contemporaneo brano da juke joint con un delizioso lavoro di slide e un’armonica fantasiosa ….
CG: mi è piaciuto molto registrare Backroad Blues con il magistrale assolo di Greg Koch. Steve Cohen ha aggiunto quella giusta spolverata sbarazzina di armonica che ho sempre immaginato per quella canzone. Sia Greg che Steve sono venuti in studio separatamente per aggiungere le loro parti dopo che le tracce della ritmica erano state registrate. Sono entrambi dei professionisti e mi hanno permesso di indirizzarli verso quel suono che stavo cercando;
MB: ci sono altri brani blues o bluesy come ‘Key To My Survival’, ‘Happiness Blues’, ‘Roots Run Deep’, ‘What Fools Do’ ma quello che più mi ha colpito è ‘Get Me Away’, un moderno e cupo slow blues in minore con un testo penetrante, intriso di quei versi che soltanto una donna potrebbe scrivere….
CG: non ho paura di esprimere i miei sentimenti, nei testi come nella musica. Scrivo, osservando le situazioni, dal punto di vista di una donna. Get Me Away racconta la verità su ciò che accade quando si è alla fine di una relazione, ma onora l'onestà di ciò che di buono quella relazione ha rappresentato. Sperimentare la vita significa evolvere. Questa per me è l'essenza del blues. Ci sono così tante donne fantastiche nel mondo del blues; molte non conosciute o poco considerate. Ma sono consapevole che questo sia ancora un mondo fondamentalmente maschile;
    MB: e poi abbiamo brani con un più o meno accentuato taglio funky: ‘Cool Trick’, ‘Good Thing’ o quelle che, per me, sono due tra le canzoni più complesse del disco: ‘Protecting My Heart’ e ‘Question Of Desire’…..
CG: hai citato due brani che non hanno delle progressioni tipicamente blues, infatti. Sono cresciuta appassionandomi al jazz e, conseguentemente, a quell'uso della melodia che accentua i colori del tipico schema blues I IV V, all'interno di una composizione. Inoltre, arrivato il momento di produrre il disco, l'idea di aggiungere una sezione di fiati mi ha davvero entusiasmato;
    MB: e che dire del taglio personale che hai dato a ‘Ode To Billy Joe’ di Bobby Gentry?
CG: una sera, durante la pausa di un concerto, un fan mi ha chiesto di cantare Ode To Billy Joe, brano di cui non conoscevo tutte le parole, ma di cui mi ricordavo la melodia. Quel groove che ascolti nella versione del disco, quel pattern ritmico è ciò che mi è venuto in mente ed è diventata la mia versione. Abbiamo suonato Ode To Billy Joe tante volte dal vivo e al pubblico è piaciuta molto. C'è un detto che recita "alle persone piace quello che conoscono". Bobby Gentry ha scritto una canzone fantastica che è diventata un classico ed è finita anche nel mio disco. Ode To Billy Joe è stata interpretata e registrata centinaia di volte da tanti artisti diversi, eppure ho sentito che la nostra versione era speciale. Per non parlare, poi, del fatto che, nientemeno che Howard Levy (già membro della band di Béla Fleck, ndr), ha accettato di suonare l’armonica per questo brano;
    MB: c’è un’ultima cosa che sarei curioso di sapere. C’è qualche canzone di ‘I’m All Burn’ alla quale ti senti particolarmente legata?
CG: Easy Come Easy Go è la canzone alla quale mi sento più vicina. Racconta una storia semplice, sull'esperienza di vita. Ha alcuni cambi nei chorus atipici per il blues e un bridge che ne esalta la tensione. Il messaggio abbraccia ogni cosa: è un invito a non dare nulla per scontato, a vivere nel momento.
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