Countin' the blues - Donne indomite - Macallè Blues

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Countin' the blues - Donne indomite

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Elisa De Munari

COUNTIN' THE BLUES - DONNE INDOMITE

Arcana Edizioni - 2020

   
 
Mi sono fermata a un incrocio, lo stesso dove Robert Johnson incontrò il diavolo. Qualcosa mi ha richiamato qui: il blues. E mi ha intimato a chiarire subito da che parte sto.”.
Basterebbe leggere la sintetica, diretta introduzione della quale, quello appena citato è un estratto dal primo paragrafo, per intuire da che parte stanno l’autrice di questo libro e il libro intero, con tutte le sue inquiete protagoniste. Parole chiare, nitide e vibranti come, probabilmente, solo una donna avrebbe potuto scrivere.
E il libro, tutto, prende nei toni, come nell’eloquio personale che, via via, diviene sociale, il medesimo e poco docile pendio di questa breve introduzione. È un libro scritto da una donna, musicista e musicologa, per onorare donne che, se non musicologhe, musiciste e, come tali, spesso rivoluzionarie, lo sono state: nella musica come nella vita.
Countin’ The Blues ha un suo primo, grande merito: quello di colmare un vuoto culturale e ristabilire, così, il senso smarrito della giustizia. Il vuoto rappresentato dall’assenza, nel panorama della spesso asfittica o banalmente agiografica editoria musicale, di un testo dedicato specificamente all’universo femminile del blues. Che le protagoniste principali, dunque, siano storiche blues women, è evidente ed è buona cosa. Ma la cosa, di per sé, avrebbe potuto essere anche un dettaglio: l’alibi, eventualmente preso a prestito dall’autrice, per tinteggiare i contorni di un orizzonte ben più vasto e generale, che riguarda la condizione femminile. In questo senso, il libro, ben oltre che musicale, si fa presto politico.
Le donne del blues, di cui parla Elisa De Munari, vissute tutte agli albori del ‘900, erano donne che avevano chiarito, con orgoglio e non poche difficoltà data l’epoca, da che parte stavano: non a casa a preparar torte o lavar calzini, non soggiogate alle regole di una società maschile e, nell’America di quei tempi, apertamente razzista. Non schiave di una cultura che le avrebbe volute accomodanti, sottomesse e casalinghe. Erano donne che, sfidando restrizioni di genere e precetti antichi, parlavano e cantavano di cose sconvenienti: violenza, abusi, droga. Col fiero senso del politicamente scorretto, narravano anche di desiderio e di sesso; anche di quello non propriamente straight.
Altro merito del libro: tra tutte queste ‘indomite’ e ben note blues women (Bessie Smith, Ma’ Raney, Victoria Spivey, Alberta Hunter...), brevemente ma assai efficacemente ritratte qui, una per capitolo, c’è spazio anche per un paio di nomi meno noti come quelli di Lottie Kimbrough o della misteriosa Geeshie Wiley. Tutto frutto evidente di un’accurata ricerca storiografica tra testi sacri e incisioni, oggi non facili da scovare.
Terza idea, meritoria, originale e funzionale allo scopo, quella di affiancare, in un immaginario viaggio parallelo nello spazio-tempo, alle figure di una volta, quelle di oggi. Ecco, dunque, che a riallacciare il passato col presente, capitolo dopo capitolo, ci pensa un nutrito numero di artiste italiane, non necessariamente avvezze al blues, anzi. Alcune provenienti dal mondo del punk, del jazz o della sperimentazione, pur tradendo una certa aderenza, anche solo di striscio, col blues, tracciano il perimetro delle loro vite odierne da donne e artiste dimostrando come, a un secolo di distanza dalle loro antiche colleghe, intraprendere certe strade possa risultare, ancora oggi, esercizio impervio.
Elisa De Munari, laureata al Dams Musica, diplomata in contrabbasso e chitarrista di rimando, affronta in solitudine i palchi del mondo, con l’evocativo nome d’arte di Elli De Mon. Nulla di più affine con chi ha affrontato i propri demoni e nulla di più assonante con la stessa “musica del diavolo”. Sulla copertina del libro, campeggia Memphis Minnie; ma il titolo, è preso a prestito da Ma’ Raney. Allora, il riassunto di queste pagine potremmo affidarlo agli espliciti versi d'avvertimento di una terza figura ancora, quella, a noi ben più prossima, di Koko Taylor: “...don’t mess with Mother Nature, 'cause you’ll be sorry if you do…”.

Giovanni Robino        


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