Fabrizio Poggi - Basement Blues - Macallè Blues

Macallé Blues
....ask me nothing but about the blues....
Vai ai contenuti

Fabrizio Poggi - Basement Blues

Recensioni

Il disco raccontato da...

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

"Basement blues"

Appaloosa Rec. (ITA) - 2022

Precious Lord/Little red rooster/Midnight train/Your light/Black coffee/The soul of a man/Blues for Charlie/Up above my head/Boogie for John Lee Hooker/See that my grave is kept clean/I'm on the road again/Hole in your soul
 
Fabrizio Poggi è armonicista, cantante, autore, instancabile divulgatore, raconteur di storie affascinanti che uniscono magicamente il Po al Mississippi. Già leader dei Chicken Mambo nonché cultore dell'armonica e della musica popolare in genere, celebra così le sue nozze d'argento discografiche: con la pubblicazione del suo venticinquesimo disco. 'Basement Blues' è un'opera di scavo tra quelle tracce antiche, sepolte e, un tempo, scartate che, al pari di quella pietra di evangelica memoria scartata dai costruttori divengono, oggi, testata d'angolo.
Nell'intervista che segue, Fabrizio ci racconta qualcosa su questo suo ultimo lavoro.....

 
 
Macallé Blues: a breve distanza dalla pubblicazione di ‘Hope’, arriva un nuovo album. Fabrizio, partiamo dall’evidenza! Il titolo e lo spirito di questo disco rievocano tanto Dylan quando The Band: i ‘Basement Tapes’ del primo e ‘Music From Big Pink’ dei secondi….
Fabrizio Poggi: sì il disco è ispirato, sin dalla copertina e dal titolo, alla leggendaria casa rosa dove Bob Dylan and The Band, nel 1967 a Woodstock, incisero i mitici Basement Tapes e questo album idealmente paga un doveroso tributo ai grandi del blues e a The Band il cui film, The Last Waltz, ha contribuito a far nascere in me la passione per il blues e per la musica della band canadese e al loro milieu sonoro.  
D’altronde la mia epifania con il blues è avvenuta tanti anni fa, alla fine degli anni Settanta, quando vidi per la prima volta al cinema proprio The Last Waltz, il film d’addio di The Band e venni folgorato dal carisma di un gigante come Muddy Waters e dall’incredibile suono dell’armonica di Paul Butterfield che suonava Mystery Train;
MB: i brani presenti in ‘Basement Blues’ ci rimandano, per così dire, alla tua cantina, alla scoperta dei tuoi anfratti segreti. Sono demo, provini, outtakes, rarità, sia dal vivo che in studio che, sebbene i tuoi esordi sulla scena risalgano a ben più vecchia data, coprono un settennato che va dal 2008 al 2015. Come mai ti sei concentrato su questo particolare periodo?
FP: la scelta di concentrarmi sul quel periodo della mia storia musicale è banalmente dovuta a problemi di ordine tecnico. Gran parte dei miei primi dischi sono stati registrati su supporti oggi non più utilizzabili. Ai tempi, incidere un disco costava una fortuna e, spesso, i nastri venivano sovraincisi. Se la versione di un brano non ci piaceva, ne registravamo una nuova sullo stesso supporto. Così facendo, potevamo risparmiare un po’ sui nostri budget che erano davvero risicatissimi. Purtroppo, in questo modo, molte cose sono andate perdute. Inoltre, i nastri magnetici su cui registravamo erano di pessima qualità e, oggi, sono in gran parte rovinati. Ma qualcosa di recuperabile in cantina è rimasto quindi chissà;
MB: immagino che il materiale a disposizione sarà stato, comunque, alquanto vasto; qual’è stato il criterio che ti ha guidato nella scelta dei brani?
FP: l’idea originale del disco non è mia ma, come è successo parecchie volte durante la mia carriera, è venuta direttamente dalla mia compagna Angelina. Angelina mi ha regalato, per il San Valentino 2022, una copia in miniatura, ma perfetta in ogni particolare, di The Big Pink e poi mi ha fatto una domanda semplice ma, in qualche modo, sorprendentemente illuminante: “E tu quando farai uscire i tuoi 'Basement Tapes?'”. Da lì è nato tutto. L’estate scorsa, anche facendomi un po’ di violenza perché, da inguaribile insicuro, soffro come un cane ogni volta che mi rivedo e mi riascolto, mi sono fatto forza e ho scoperto, con mia grande meraviglia, un sacco di canzoni che sentite a distanza di un po’ di tempo mi erano sembrate piuttosto interessanti. Mi pareva un peccato tenerle solo per me;  
MB: si comincia in duo acustico con una versione sorprendentemente e molto blues di un classico gospel…
FP: è una versione registrata per la colonna sonora del mio spettacolo 'Il Soffio Della Libertà: il blues e i diritti civili' e così, Enrico Polverari ed io, la suoniamo durante le nostre performance teatrali. Quando poi è uscito il disco con le canzoni dello spettacolo qualcuno, non ricordo chi, ha pensato che fosse meglio mettere la versione tratta da 'Mercy'. Quando ho pensato a questo arrangiamento ho provato a immaginare questa canzone come se fosse un antico spiritual e che invece di essere stata composta da un pianista di Chicago, fosse stata inventata da un vecchio bluesman sotto a una veranda in Mississippi. E come, giustamente, tu hai colto abbiamo volutamente sfruttato l’effetto sorpresa e a quanto pare ci siamo riusciti;     
MB: la formazione a duo si ripresenta più volte lungo lo svolgersi del disco. Già col successivo ‘Little Red Rooster’ registrato dal vivo in America con Guy Davis; poi ancora con Davis nel ruvido, inedito ’Black Coffee’, in versione assai downhome con Ronnie Earl o ancora con Enrico Polverari. Non c’è dubbio sul fatto che il contesto del duo, col quale hai un’esperienza consolidata e ben rappresentata anche a livello discografico, ti sia in qualche modo congeniale…
FP: magari sono in pochi a saperlo ma sono sempre stato estremamente affascinato dal sound primitivo del blues e dello spiritual. E questo si poteva forse dedurre dal fatto che, anche in contesti molto elettrici, io abbia sempre suonato la mia armonica in modo rigorosamente acustico. E poi in quegli anni, nel nostro paese, non era facile proporre quel tipo di blues. Specialmente nei club. Tutti, o quasi, volevano la band.  Ma, sin dagli esordi, che non sono finiti su disco - magari su cassetta, quello sì - ho sempre cercato di proporre, spesso senza riuscirci, quella musica che si suonava sotto al portico di quelle baracche sparse tra i campi di cotone del sud degli States. Gran parte dell’anima del blues sta ancora nelle canzoni che si cantavano laggiù. E poi il suono acustico mi permette di raccontare meglio le storie che stanno dentro e intorno a questo, per certi versi ancora misterioso, genere musicale; MB: a proposito dei brani con Ronnie Earl, colpisce la rilettura di ‘Up Above My Head’...
FP: l’idea è nata quasi per caso durante la registrazione della sua chitarra su 'Spaghetti Juke Joint'. Lui, a mo’ di riscaldamento, stava suonando questo blues lentissimo e non so perché io mi sono messo a cantare “...Up above my head...”. Forse perché, inconsciamente, quello che Ronnie stava suonando mi fece davvero pensare che in fondo la musica esiste già nell’aria sopra la nostra testa. Tutto quello che dobbiamo fare è catturarla. Il fonico, a nostra insaputa, l’ha registrata. Naturalmente, Ronnie ed io non l’abbiamo mai presa davvero sul serio, fino a che l’estate scorsa. Ma questo l’ho già raccontato;
MB: ma il disco non è fatto di soli duetti. E per crescere un po’ con la formazione, dal duo passiamo al trio. In questo format troviamo, tra l’altro, una particolarmente ispirata versione acustica del classico di Blind Willie Johnson ‘Soul Of A Man’…
FP: in qualche modo qui torniamo a quanto ho già detto per 'Precious Lord'. Questa versione però è stata, ahimè, scartata perché sul disco non ci stava proprio fisicamente. Questa versione nacque quasi per caso in studio. Enrico ed io non l’avevamo mai suonata in concerto insieme. Non vorrei apparire banale, ma la magia e il potere della musica stanno proprio qui. E non posso in questo caso non dare ragione a un poeta di fine Seicento che scrisse: 'La musica ha incantesimi per placare un cuore selvaggio, per ammorbidire le pietre o piegare una quercia nodosa'. Una frase bella e verissima;
MB: ‘Basement Blues’ contiene anche brani più elettrici e band più corpose. Due brani strumentali, ‘Blues For Charlie’, che immagino idealmente dedicato a Charlie Musselwhite e ‘Boogie For John Lee Hooker’ che non concede dubbi sul destinatario del brano, entrambi registrati con alcuni musicisti italiani tuoi abituali accompagnatori dell’epoca…
FP: sì, 'Blues for Charlie' è dedicata a Charlie Musselwhite, un musicista che mi ha insegnato tanto, anche senza che lui lo sapesse. Ne è venuto a conoscenza anni dopo quando siamo diventati grandi amici. Ma questa è un’altra storia. I due brani sono versioni alternative di due pezzi che avevo inserito nel disco che alcuni anni fa avevo regalato alla Blues Foundation per aiutare i musicisti blues in difficoltà. L’avevo fatto per restituire qualcosa al tanto che mi era stato dato dai bluesmen delle generazioni che mi avevano preceduto. Un disco 'Harpway 61' uscito solo in America e oggi di non facile reperibilità;    
MB: e così si va, via via crescendo, fino all’apoteosi rappresentata dal classico 'John The Revelator'. Qui, oltre ad alcuni dei tuoi abituali colleghi italiani, troviamo Garth e Maud Hudson, rispettivamente all’organo e ai cori...  
FP: questa è la versione che doveva finire su 'Mercy'. Quasi un duetto tra me e Garth per chiudere un cerchio iniziato anni prima. Poi le cose andarono diversamente perché decisi, come mi pareva giusto all’epoca, condividere il cantato con altri e lasciare più spazio agli assoli della band. Non me ne pento ovviamente, ma questa è la versione originale. La director’s cut;  
MB: il disco si chiude, poi, con un bonus: la versione dal vivo di un brano il cui titolo è da sempre un tuo motto: “...se non ti piace il blues…”...  
FP: è la canzone che apre i miei concerti da quasi vent’anni ed è diventata, un po’ al di là del motto semiserio, una specie di portafortuna. Ho provato anche a toglierla dal repertorio ma ho ricevuto così tante simpatiche proteste da parte della band e del mio pubblico da essere stato felicemente costretto a rimetterla in scaletta. E non sono mai stato così contento come in quel momento.
Torna ai contenuti