Jimmy Carpenter - Soul Doctor
Recensioni
Il disco raccontato da...
Jimmy Carpenter
JIMMY CARPENTER
"Soul doctor"
Gulf Coast Rec. (USA) - 2019
Soul doctor/When I met you/Wild streak/Love it so much/Need your love so bad/Wanna be right/One mint julep/Wrong turn/LoFi roulette/Yeah man
Vivace sassofonista, cantante e autore, dopo aver speso anni on the road e quale session man, al fianco di nomi illustri come Walter "Wolfman" Washington, Jimmy Thackery, Mike Zito, Tinsley Ellis, Eric Lindell dal 2008 affianca, alla sua mai abbandonata e storica attività di 'prestatore ad altrui di fiato', quella di valente solista e autore dal piglio spesso ironico e divertito. A settembre del 2019 è uscito Soul Doctor, suo quarto disco solista che, forse più dei precedenti, mostra tutta quanta la sua versatilità di strumentista e autore, sintetizzando, sulla lunghezza di dieci brani (sette dei quali, inediti), il suo variegato bagaglio di influenze e passioni.
E di questo disco, Jimmy Carpenter ci ha parlato nell'intervista che segue…..
Macallé Blues: dopo decenni trascorsi come 'sideman', con Jimmy Thackery e con altri ben noti artisti come Walter Washington e Mike Zito per nominarne giusto alcuni, esce 'Soul Doctor' che è il tuo quarto album solista. Sebbene radicato nel blues questo disco è, di fatto, un caleidoscopio di stili musicali: volevi rappresentare qui tutte le tue influenze e i generi di musica che ti è capitato di suonare durante la tua carriera o cosa?
Jimmy Carpenter: io amo sinceramente il blues; credo sia il genere che ha fornito le basi a tutta la musica moderna, per lo meno di quella che possiamo ritenere abbia un’anima. Blues, soul, R&B, R&R sono tutti generi musicali interconnessi tra loro e, nella mia testa, sono come una cosa sola: canzoni che hanno un significato, un’anima, del groove e del feeling.
E’ difficile che io parta con l’idea di scrivere un brano che abbia una connotazione stilistica ben precisa. Lascio che sia l’ispirazione a portarmi dove il feeling risuona meglio. Detto ciò, è vero che provengo da influenze diverse dalle quali, sicuramente, attingo: jazz, blues, soul, New Orleans, musica africana…e le amo tutte;
MB: per questo disco, hai messo insieme una band stellare con l’aggiunta di alcuni ospiti: Mike Zito, l’ex chitarrista dei Tramped Underfoot Nick Schnebelen e alcuni membri della sezione fiati della Big Blues Bender house band come Doug Woolverton e l’ex Roomful Of Blues Mark Earley, rispettivamente alla tromba e al sax baritono….
JC: uno dei più grandi sottoprodotti derivati dall’essere in questo business da così lungo tempo è avere tanti amici di talento. Mi è stata concessa molta libertà d’azione per questo progetto, grazie alla fiducia di Mike Zito nelle mie possibilità. Quindi, sono riuscito a coinvolgere diversi amici.
E’ successo che Nick fosse di passaggio a Las Vegas proprio nei giorni di registrazione del disco; così sono riuscito ad afferrarlo al volo per un paio d’ore. Il suo intervento in Soul Doctor ha davvero dato sprint al brano. Il solo di slide di Mike in Wild Streak è semplicemente perfetto per quella canzone ed ero certo lo sarebbe stato. Riguardo ai Bender Brass, è stato un vero regalo, sebbene un po’ difficoltoso, siccome tutti noi ci trovavamo in posti differenti durante le registrazioni. Ma, alla fine, siamo riusciti a combinare la cosa e ne è valso lo sforzo. E poi anche, Chris Tofield, chitarrista di Las Vegas, ha fatto parte della partita spargendo magie chitarristiche qua e la e dimostrandosi uno dei pilastri del disco. E ancora, Red Young, che è un vero maestro. Gli ho mandato le tracce sapendo che avrebbe dato un enorme contributo come poi è stato;
MB: in 'Soul Doctor' troviamo dieci canzoni piene di gioia, vibrazioni positive, divertimento e groove….
JC: non sono partito con questo spirito in mente ma, come ho messo insieme un po’ di materiale, il disco ha preso quella piega. Io mi considero una persona politica e socialmente impegnata e, non nego che, a volte, mi sia capitato di pensare che avrei dovuto scrivere qualcosa di più duro per questi che ritengo essere tempi duri. Ma mi lascio anche prendere da atmosfere più leggere. Dunque, alla fine, non mi dispiace che il disco suoni così allegro e divertente e spero che questa atmosfera possa offrire alla gente una tregua da tutto ciò che sta accadendo e magari anche qualche funky cool groove sul quale muovere le gambe! Ancora meglio: aprire le finestre e farlo ascoltare ai vicini!
MB: in un brano come 'Wild Streak', che sembra avere un tocco alla Delbert McClinton, troviamo un approccio moderno a quello che è il tuo amore per la musica degli anni ‘50 e ‘60….
beh...lo prenderò come un gran bel complimento. Con la mia band ho aperto i concerti di Delbert McClinton nei primi anni ‘80 e, già da prima, sono sempre stato un suo grande fan. Molto della mia sensibilità musicale deriva dalla musica degli anni ’50 e ‘60; penso che non potrei evitarlo neppure se lo volessi. L’obiettivo era proprio quello di registrare un disco moderno e vintage allo stesso tempo e credo che ci siamo riusciti molto bene. Abbiamo provato a costruire un groove vintage, ma con un suono di batteria moderno, bello corposo e trainante e credo che il suono d’insieme che ne risulta sia bello spesso e potente;
MB: invece 'When I Met You' che, in origine, era un brano country, qui lo ritroviamo trasformato in un pezzo soul…
JC: questo è un brano che mi ero riproposto di fare in un certo modo. La mia ragazza, Carrie Stowers, e io abbiamo suonato insieme questo pezzo molte volte; era un grazioso e dolce brano country folk. Ma, nel disco, un brano così non avrebbe mai funzionato. Allora, mi sono preso un po’ di tempo per riarrangiarlo in modo tale che potesse trovare una sua giusta collocazione in questa cornice. Io adoro il Memphis soul, ma non ero sicuro di riuscire a catturare proprio quel feeling. Alla fine, però, ha funzionato davvero; ho dovuto scrivere le parti per i fiati che, secondo me, sono deliziose. E Carrie ha fatto i cori, che sono perfetti considerato che ho scritto questa canzone per lei;
MB: questo disco contiene una generosa quantità di brani inediti e, lasciando stare per un attimo gli aspetti prettamente musicali della tua personalità, credo che 'Soul Doctor' punti giustamente i riflettori anche sulle tue abilità di autore, dotato anche di un caustico sense of humour…
JC: ti ringrazio molto! Scrivere canzoni, per me, è sempre stata una sfida: a volte mi viene assai facile, spesso, invece, non molto. Sono anche un eterno spocchioso e, nella trama delle mie canzoni, intreccio molto di questo atteggiamento, intenzionalmente o no. A volte funziona, a volte no. C’era una canzone, nel mio primo disco, intitolata On The Skids: era triste al punto tale che, per paradosso, pensavo potesse essere divertente. Ma mio padre, quando la scoltò, mi chiamò per dirmi che gli dispiaceva io fossi stato così tanto depresso. Quindi, quella volta, non funzionò per nulla!
MB: tra tutte le canzoni inedite che ci sono qui, una di quelle che mi hanno colpito di più è 'Wanna Be Right', che è, secondo me, un moderno esempio e concentrato di quella vecchia arguzia e saggezza tipiche del blues, tutte nascoste in una semplice domanda: “...do you wanna be right, or do you wanna be happy?”…..
JC: probabilmente dovrei riconoscere i diritti d’autore a Mike Zito per questa canzone. Io e Mike abbiamo trascorso ore e ore in pulmino, durante i tour, guidando d’appertutto e parlando di tutto, comprese le nostre relazioni con le donne. A proposito di ciò, un giorno mi chiese “...do you wanna be right, or do you wanna be happy?” Pensai subito "...wow, questo è una domanda davvero profonda!"…e subito dopo pensai, "...wow, questa potrebbe essere una canzone!". Così, mentre stavo registrando il disco, mi ricordai di quella frase. La canzone, una volta iniziata, si scrisse quasi da sé. Mi piace quando succede e, ancora oggi, devo pormi quella domanda quotidianamente!
MB: 'Wrong Turn' è un altro inedito che dimostra le tue capacità di polistrumentista; in questo brano tu suoni la chitarra e duetti con la slide di Trevor Johnson….
JC: beh, grazie ancora. Mi capita di scrivere canzoni usando la chitarra, ma non mi considero certo un chitarrista, soprattutto da quando ho avuto il grande piacere di lavorare con alcuni dei migliori chitarristi della scena. Ma quel groove mi piaceva particolarmente e potevo suonarlo. Quando l’abbiamo registrato, mi è mancato il mio modo di suonarla, così l’ho sparata lì cercando di mantenere il feeling originale. Diciamo che ci ho infilato le mie dita attraverso e la cosa ha funzionato. E, certo, avevo dalla mia il fantastico Trevor Johnson con la sua slide, cosa che ha sicuramente aiutato. Il testo è del cofondatore della Gulf Coast Records, Guy Hale;
MB: un altro brillante originale è 'Love It So Much' che suona come un omaggio a New Orleans e alla sua tradizionale 'second line'….
JC: non è un caso che quella canzone abbia un groove in stile New Orleans. Il tempo che ho trascorso in quella città ha avuto un forte impatto su di me, sia musicalmente che personalmente e tutto quanto si dice di quel tipico groove è proprio vero.
Da quando sono arrivato a Las Vegas, ho tentato di bilanciare la famiglia con la vita errabonda del musicista, qualcosa che non mi è mai capitato di fare prima. E, per quanto sia felice nell’avere una famiglia e una vita semi normale, mentirei se dicessi che non mi manca la vita on the road. Dunque, c’è sempre un certo conflitto in me tra il desiderio di essere a casa e quello di essere in giro in tour. Sarebbe una scelta facile “...if I didn’t love it so much!”; da qui, la canzone!
MB: ci sono, però, anche tre notevoli e sorprendenti covers: la prima di cui vorrei parlare è 'Need Your Love So Bad' di Little Willie John, una ballata romantica alla quale hai riservato un bel trattamento blues…
JC: sono un grande fan di Little Willie John, che considero essere uno dei migliori cantanti e autori di tutti i tempi. Ho sempre adorato questa canzone ed essendo in cerca di una ballad per il disco, mi è subito saltata alla mente. Per un po’ ho cercato di scriverne una mia, ma non sono riuscito a produrre nulla che fosse buono abbastanza. Need Your Love So Bad ha dei cambi di accordo sui quali è bello suonare ed era una delle canzoni di Little Willie John che avrebbe potuto fare al caso mio, anche dal punto di vista dell’interpretazione vocale. Chris Tofield, poi, l’ha illuminata con echi di B.B. King nella sua chitarra e dunque, non mi restava altro che aggiungerci un bel sax tenore sexy.
E, come bonus a sorpresa, ho scoperto quanto fosse popolare la versione fatta da Peter Green e i suoi Fletwood Mac. A febbraio, durante il mio tour nel Regno Unito, i giornalisti inglesi ne sono andati matti, così come il pubblico stesso;
MB: la seconda cover è 'One Mint Julep', che tu rileggi in chiave funky….
JC: una delle più grandi esperienze artistiche della mia vita sono stati i dieci anni trascorsi nella band di quell’icona soul/blues di New Orleans che è Walter ‘Wolfman’ Washington. Walter mi ha insegnato molto in fatto di musica e vita; con lui, occasionalmente, si suonava One Mint Julep. Mi è sempre piaciuto improvvisare su questo pezzo e mi sono reso conto, durante le registrazioni con la band in studio, che avremmo potuto fare anche questo. Il groove che hanno inventato Cam Tyler (batterista) e Jason Langley (bassista) è proprio cazzuto e Red Young pure ci ha dato dentro bene come sapevo avrebbe fatto. L’ho suonata anche dal vivo con la mia band inglese, durante l’ultimo tour e, anche loro, su questo brano, hanno davvero spaccato;
MB: e, sul finire del cd, troviamo l’ultima sorpresa: 'Yeah Man' di Eddie Hinton. Eddie è stato un maestro, ma anche una figura oscura in realtà; quindi, resto sempre sorpreso quando qualcuno decide di interpretare uno dei suoi brani. Perché questa scelta?
JC: in vita mia, mi è capitata assai di rado la fortuna di incontrare qualcuno che lasciasse un’impressione durevole in me: Eddie Hinton è stato uno dei pochi a farlo.
Nei primi anni ‘80, Jimmy Thackery, allora chitarrista dei The Nighthawks, incontrò Eddie e lavorò con lui su un brano. Poi, portò Eddie a Washington e lo incoraggiò a fare un tour. In quel periodo, Eddie capitò a suonare nella mia città, Greensboro, North Carolina e, ovviamente, andai a sentirlo. Nel locale, non c’era nessuno; io ero seduto a un tavolo proprio di fronte al palco, completamente rapito da quanto stavo ascoltando. Lo vidi nuovamente, poco dopo, a Chapel Hill, North Carolina e, quella volta, dovetti andarlo a conoscere e con lui rimasi fino a tarda notte. Era un tipo davvero insolito, un’interessante combinazione di conflitto e felicità, ma era anche un piacevolissimo compagno di bevute. Andando velocemente avanti nel tempo, arriviamo al 2002. All’epoca, stavo registrando un disco con Jimmy Thackery intitolato We Got It, quasi interamente composto da canzoni di Eddie Hinton. Yeah Man è sempre stata la mia preferita tra le canzoni di Eddie e ho pensato che Soul Doctor fosse l’occasione giusta per riproporla. L‘ho un po’ cambiata, qua e là, ma sempre restando fedele allo spirito originario della canzone. Inoltre, chiudere il disco con un brano positivo, felice, una specie di brano jam, mi pareva potesse funzionare bene.