King Louie
Le interviste...
Macallè Blues incontra Louis Pain aka King Louie
Louis Pain (foto: Carol Sternkopf)
04 settembre 2019: Louis Pain, dai natali californiani (San Francisco) ma, dagli anni '80 residente a Portland, Oregon, noto oggi come King Louie ovvero il 'Portland's boss of B-3' è uno dei più apprezzati hammondisti della scena contemporanea. Prima di dare vita alle sue due ultime incarnazioni artistiche, vale a dire il duo con la vocalist LaRhonda Steele e, soprattutto, il King Louie Organ Trio, vanta un trascorso musicale assai ricco, speso al fianco di nomi come Curtis Salgado, Linda Hornbuckle, Lloyd Jones ma, soprattutto, il grande, innovativo armonicista Paul deLay.
Quella che segue, è la chiacchierata che Louis 'King Louie' Pain ha concesso a Macallè Blues....
Macallè Blues: Louis, direi che i tuoi esordi potrebbero essere un buon punto da cui partire per quest’intervista. Tu sei un hammondista. L’organo Hammond è stato, ed è, uno strumento fondamentale, tanto nel jazz quanto in altri generi musicali, anche di frontiera, collocati tra soul e blues. Dunque, sono proprio curioso di sapere come e quando è nato il tuo amore per l’Hammond e se c’è stato qualche artista in particolare a cui puoi attribuire la responsabilità per la nascita del tuo interesse per questo strumento….
Louis "King Louie" Pain: il mio interesse per l’organo Hammond è nato quando, bambino cresciuto a San Francisco, i miei fratelli mi fecero notare la presenza dell’organo nei dischi che ascoltavano. Se un tuo fratello maggiore pensa che qualcosa sia bello o interessante, è naturale che anche tu cominci a pensare altrettanto. Più tardi, Duncan, uno dei miei fratelli, cominciò a suonare in una band in cui militava anche un buon hammondista, tale Cornelius Williams. Da lì, ben presto cominciai ad ascoltare Booker T Jones, Billy Preston, Jimmy Smith e anche a prendere lezioni da un organista di nome Norman Bellas;
MB: come il tuo strumento, anche tu vanti un background ben radicato principalmente nel blues, nel soul e nel jazz. A proposito di blues e soul, nel corso della tua carriera, hai anche avuto la possibilità di suonare con alcuni pesi massimi del genere come Solomon Burke, Martha Reeves, Howard Tate ma, soprattutto, il nome principale al quale resti associato penso rimanga quello di Paul DeLay. Nella sua band, tu hai ricoperto non solo il ruolo di tastierista, ma anche quello di direttore musicale e arrangiatore….
LP: il grande e compianto Paul deLay era sempre ben felice di coinvolgere i suoi musicisti nei processi creativi della scrittura, dell’arrangiamento e così via. I meravigliosi testi delle canzoni erano interamente farina del suo sacco, ma tutti noi musicisti della sua band contribuivamo attivamente alle musiche e a proporre idee per gli arrangiamenti. Noi suggerivamo qualcosa e poi Paul sceglieva quello che più gli garbava. Era un buon modo per far sì che la musica contenesse e rappresentasse tanto la personalità di Paul quanto le idee e le influenze di tutti quelli che ne facevano parte. Penso che tanti validi bandleader operino in questo modo. E, in merito alla direzione, credo sia corretto dire che io e Paul eravamo condirettori musicali;
da sinistra, Paul deLay e Louis Pain (foto: Tracy Turner-Pain)
MB: cosa porti con te dell’esperienza e di tutto il tempo trascorso con Paul deLay?
LP: probabilmente ciò che più conservo e che più mi ha influenzato di Paul è stato il suo disgusto per i clichés e le cose ovvie. Ha sempre evitato le frasi musicali o le progressioni armoniche facili e trite, preferendo invece qualcosa di diverso. E la stessa cosa succedeva per i testi. Una delle sue canzoni, per esempio, I Know You’ve Got Another Man era, in realtà, la parodia di un tipico cliches blues. In quel brano, il classico tema dell’uomo geloso, convinto che la sua ragazza lo tradisca, viene messo alla berlina così come è capitato altrove per altri abusati luoghi comuni, che si ritrovano in abbondanza nel blues. Paul pensava che quella canzone fosse veramente comica; e, invece, molti critici, fans e persino musicisti, non ne colsero lo spirito ilare;
MB: in qualità di acceso fan di Paul deLay, non riesco a fare a meno di approfittare dell’occasione che mi offre la possibilità di parlare con te per chiedere, a una persona che ha avuto modo di trascorrere così tanto tempo, fianco a fianco, con lui qualche ricordo particolare.
questa foto, inizialmente destinata alla copertina del disco 'Ocean Of Tears', fu scartata. Al centro, Paul deLay; dietro di lui, da sinistra, John Mazzocco, Louis Pain. Dan Fincher, Peter Dammann e Mike Klobas (foto: Ross Hamilton)
Tutti noi conosciamo Paul in quanto armonicista innovativo nonché fine, sagace autore dotato un occhio particolarmente acuto sulla vita e la realtà circostanti. Forse, però, non sappiamo molto di lui come persona. In questo senso, c’è qualche particolare aspetto o ricordo che ti andrebbe di condividere con noi?
LP: Hai descritto Paul assai bene. Era un tipo molto arguto e, inoltre, adorava le buone battute e le storielle ironiche. Anche dopo che io avevo abbandonato la sua band, continuava a lasciare messaggi nella mia segreteria telefonica riportando battute che aveva sentito o divertenti sketch televisivi che aveva visto. Ma Paul aveva anche un lato oscuro che, occasionalmente, lo rendeva lunatico, volubile. Inoltre, ha combattuto una personale battaglia contro la dipendenza che, una volta vinta, si trasformò in sovralimentazione con conseguente obesità. Ma al di là di ciò, era una gioia lavorare con lui perché era una persona così creativa e terribilmente amante della vita e della musica;
MB: dopo il lungo periodo trascorso con Paul deLay, con quali altri musicisti hai suonato? Immagino tu ti sia dedicato a situazioni più, diciamo così, 'jazzy', giusto?
LP: penso sia corretto dire che, dopo i dieci anni trascorsi con Paul, io abbia suonato effettivamente meno blues. Ma, tutto ciò che ho suonato dopo, è stato comunque sempre 'bluesy'. Classic soul, jazz, soul-jazz assieme a un po’ di classico blues con un po’ di gospel nel mix. Ma, devo dire che, persino con Paul, la musica raramente era blues in senso stretto. A Paul piaceva ogni genere di musica, persino Lawrence Welk! Al pari di Paul, anch’io penso che la musica non dovrebbe essere rinchiusa dentro il perimetro di rigide categorie. Di sicuro, i buoni musicisti hanno sempre ascoltato tutti e si sono sempre influenzati vicendevolmente, sebbene magari fossero principalmente noti come musicisti “blues,” “jazz,” “soul,” “country,” “classici” o altro ancora;
MB: e ora parliamo un po’ di quello che potrei chiamare il tuo ultimo progetto: il duo con LaRhonda Steele. Quando vi siete incontrati la prima volta e perché avete deciso di dar vita a questo duo?
da sinistra, Louis Pain e LaRhonda Steele (autore sconosciuto)
LP: in realtà, il mio progetto più recente è quello interamente strumentale e interamente composto da materiale inedito che si è concretizzato con l’uscita del cd It’s About Time. Però, il cd del 2016 del duo con LaRhonda Steele Rock Me Baby è stato memorabile. Io e LaRhonda abbiamo lavorato insieme per molti anni, a intermittenza ma, alla fine, ci siamo ritrovati per registrare un cd con lo scopo di avere qualcosa da vendere di nostro ai concerti. Quel cd, però, ricevette tali e tante entusiastiche recensioni (comprese le quattro stelle riconosciuteci dalla prestigiosa rivista americana Downbeat!), che decidemmo di prendere a suonare insieme più regolarmente, tanto da essere anche invitati, in Italia, all’edizione 2017 del Porretta Soul Festival;
MB: LaRhonda Steele pare essere una cantante radicata nella tradizione blues-R&B mentre tu sembri incarnare il lato più jazz del duo: insieme, date vita a un’interessante mescola che si materializza in una potente intesa, un ben bilanciato mix di colori che nasce in maniera assai spontanea tra voi….
LP: LaRhonda è cresciuta cantando gospel nelle chiese di una piccola città dell’Oklahoma, ma ha cantato anche blues e jazz. E sebbene io abbia suonato jazz, ho forse suonato più ancora blues e soul, oltre a essere sempre stato un appassionato di musica gospel (in passato, ho persino suonato in un paio di chiese a Oakland, California e qui a Portland, Oregon).
Come ha sottolineato il grande Booker T Jones, le radici dell’organo affondano nella musica religiosa. Dunque, direi che l’intesa artistica tra LaRhonda e me è stata una naturale e facile conseguenza di tutto ciò;
MB: uno degli aspetti chiari ed evidenti che ti riguardano come musicista è che tu sembri essere un partner musicale molto rispettoso. Intendo dire che si sente che sai suonare restando dietro al cantante, sostenendolo e accompagnandolo opportunamente, creando quel giusto tappeto sonoro sul quale, chi canta, può sentirsi comodo e a proprio agio….
LP: ti ringrazio. A differenza di altri strumentisti, io adoro sinceramente accompagnare i cantanti, quantomeno quelli bravi! Sono cresciuto ascoltando molta musica soul, Memphis soul e Stax-Volt in particolare. Tutti i musicisti di quel genere (Booker T & the MG’s, The Mar-Keys, etc.) erano estremamente sobri e raffinati nel loro modo di accompagnare Otis Redding, Sam & Dave, Carla Thomas, etc. Non hanno mai mostrato particolare interesse nel tirarsela e mettersi in mostra, ma solo nel porsi al servizio del cantante, nell’aiutare il cantante o la cantante a raccontare la propria storia. Quello è stato il mio modello, il mio punto di riferimento, anche quando accompagnavo solisti jazz;
MB: come duo, con LaRhonda Steele, avete registrato alcuni cd: quanti al momento?
LP: LaRhonda e io abbiamo registrato due cd insieme, entrambi editi dalla mia etichetta Shoug Records: Rock Me Baby, nel 2016 e King Louie’s Blues Revue: Live at Riverhouse Jazz nel 2018. Quest’ultimo include LaRhonda insieme a un paio d’altri ottimi cantanti: Andy Stokes e Lisa Mann. Anche questo, come Rock Me Baby, ha ottenuto quattro stelle sulla rivista Downbeat;
da sinistra, Renato Caranto, Edwin Coleman III e Louis Pain (foto: Dean Mueller)
MB: questo duo non è soltanto un duo, ovviamente: dunque, presentaci gli altri musicisti che accompagnano King Louis & LaRhonda Steele…..
LP: come detto, King Louie & LaRhonda Steele attualmente sono una formazione occasionale. Le mie attenzioni, ultimamente, sono tutte rivolte al King Louie Organ Trio. Ma entrambe le formazioni, comprendono gli stessi musicisti: oltre a me, all’Hammond B-3, ci sono Renato Caranto al sax, Edwin Coleman III alla batteria oltre a qualche ospite speciale.
Renato Caranto ha accompagnato in tour Esperanza Spalding e Merle Haggard negli utlimi anni; lui è, si può dire, la mia mano destra! Gli ospiti del nuovo cd, invece, includono il leggendario batterista Mel Brown che compare nelle ultime cinque tracce, il chitarrista Dan Faehnle (che ha suonato con Pink Martini e Diana Krall), nonché Bruce Conte, famoso per aver suonato con i Tower of Power;
MB: hai qualche altro progetto discografico per il prossimo futuro?
LP: proprio a maggio di quest’anno, come già accennato, il King Louie Organ Trio ha prodotto il proprio cd d’esordio. Anche questo ha ricevuto quattro stelle su Downbeat! E’ stato un gran divertimento registrare un disco di tutti brani inediti e tutti strumentali.
Le prime otto tracce sono classificabili come “soul-jazz”, mentre le altre cinque sono più tradizionalmente jazz. Però, ancora una volta devo dire che tutto il disco, nel suo insieme, è molto 'bluesy'!
MB: all’attività di musicista, tu affianchi quella di insegnante di musica.
Qualcuno potrebbe essere portato a credere che, se suoni il piano o le tastiere, tu possa essere anche un buon hammondista; ma io non credo sia sempre vero! Un buon pianista non è, necessariamente, un buon hammondista. L’organo Hammond è un mondo a parte. E, dunque, sarei proprio curioso di sapere che tipo di studenti tu abbia! L’Hammond non è uno strumento propriamente comune, quindi non mi aspetterei degli studenti comuni. Secondo te e sulla base della tua esperienza, qual è la ragione principale per cui uno decide di imparare a suonare l’organo Hammon? Il suo suono particolare o cos’altro?
LP: Hai ragione: l’organo Hammond è molto diverso, tanto dal pianoforte, quanto dalle tastiere elettroniche in genere. Sono proprio strumenti differenti. In generale, i musicisti gospel, quelli coi quali sono cresciuto frequentando la chiesa, sono rapidi nel passare da un tipo di tastiera all’altro; e sono sia ottimi pianisti che ottimi organisti. Tipici esempi sono Billy Preston e il giovane Cory Henry. Ma la maggior parte dei tastieristi (inclusi pianisti, organisti e suonatori di varie tastiere elettroniche), sono degli specialisti, soprattutto dell’organo.
L’organo Hammond è diverso dal piano per molte ragioni: ci sono due tastiere, non solo una. Non esiste il pedale del sustain; il volume è controllato da un pedale e non dal tuo tocco; le note suonano per il tempo che tieni premuti i tasti; puoi continuare a cambiare tono con ogni interruzione; puoi cambiare la velocità del Leslie etc. Come vedi, suonare l’Hammond ha più cose in comune col guidare un autobus piuttosto che col saper suonare un piano!
I miei studenti sono tipicamente musicisti che, come me, hanno ascoltato il suono dell’Hammond dal vivo o su disco e se ne sono innamorati. Devi necessariamente essere innamorato di questo strumento per sopportare tutto ciò che comporta il diventare organista! Gli Hammond B-3 sono parecchio pesanti, ingombranti e inclini al guasto con tutte le problematiche che ciò comporta (considera che l’Hammond, quello vero, hanno smesso di produrlo mezzo secolo fa!). Oggi esistono degli ottimi cloni di B-3 portatili prodotti da Suzuki, Nord o altri costruttori. Io, per esempio, suono un Nord C2d Combo Organ. Ma per ottenere un buon suono di Hammond, devi suonarlo attraverso un altoparlante Leslie vintage e, solo lui, pesa più o meno settanta chili. Poi c’è il supporto per la tastiera, la panca, la pedaliera dei bassi. Ecco perché non ci sono così tanti organisti al mondo! Ma sono felice di aver avuto alcuni ottimi studenti nel corso della mia carriera di insegnante. Uno di questi, Ben Turner, suona in una meravigliosa band chiamata Dirty Revival, band che invito tutti voi ad ascoltare!