Mick Kolassa - 149 Delta - Macallè Blues

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Mick Kolassa - 149 Delta

Recensioni

Il disco raccontato da...

Mick Kolassa

MICK KOLASSA AND THE TAYLOR MADE BLUES BAND

"149 Delta Avenue"

Endless Blues Rec. (USA) - 2018

I can't slow down/US 12 to Highway 49/Alternative man/Cotton Road/American Intervention/Pullin' me down/Whiskey in the mornin'/I don't need no doctor/Miss boss/35 miles to empty/Alternative man alternative/The viper

Dopo aver pubblicato alcuni dischi nei quali reinterpretava brani di altri autori, Mick Kolassa è tornato a fare ciò che ama di più: realizzare e registrare dischi di quello che chiama "free range blues", puntando nettamente le luci sulle proprie rimarchevoli qualità di autore. In 149 Delta Avenue, infatti, la quasi totalità dei brani presenti è frutto della sua arguta e spesso sagace penna e la sua Taylor Made Blues Band, occasionalmente integrata da una sezione fiati, beneficia della presenza di alcuni ospiti, tra i quali spicca Toronzo Cannon.
Quella che segue, è la chiacchierata che ci siamo fatti con Mick riguardo a 149 Delta Avenue....

Macallè Blues: Mick, il 2018 pare essere stato un anno impegnativo per te. A gennaio è uscito “Mick Kolassa and Friends”, disco fatto di classici che tu interpreti, in forma di duetti, con diversi ospiti. Ora esce il tuo nuovo “149 Delta Avenue” che va, invece, in una diversa direzione, puntando principalmente le luci sulle tue rimarchevoli doti di autore….
Mick Kolassa: l’album di duetti, Double Standards, era una cosa che avevo in testa di fare da tempo. La sua produzione è costata quasi un anno di lavoro in quanto abbiamo dovuto aspettare l’occasione di avere gli ospiti disponibili a registrare in studio durante i loro passaggi da Memphis. Quell’album è stata l’occasione per interpretare alcuni grandi brani insieme ad alcuni amici e per divertirci ma, allo stesso tempo, sapevo che presto sarei dovuto tornare a proporre la mia musica e le mie canzoni che, poi, è la cosa che amo fare di più. Quindi, questo nuovo disco ha rappresentato l’occasione giusta per farlo e, devo dire, che sono già piuttosto ansioso di tornare in studio per registrare il prossimo disco!
MB: e allora parliamo un po’ di te come autore e, più in generale, del processo di scrittura delle canzoni. Per me, essere un buon autore significa essere in grado di raccontare delle storie; in questo senso, tu sei certamente un ottimo autore. Quando e come hai cominciato a scrivere? Da dove nascono, solitamente, le idee per le tue canzoni? E’ un processo, in qualche modo, istintivo o, quella della scrittura, è una lenta costruzione?
MK: ho sempre considerato il blues come una forma d’arte verbale, una sorta di mezzo per raccontare storie. Del resto, non ho mai sentito Muddy Waters o Howling Wolf suonare un assolo lungo venti minuti. Le loro canzoni e la loro arte vivevano delle storie che raccontavano e nel modo in cui le raccontavano. Prendo seriamente il fatto di essere un autore di canzoni e ammiro tutti i buoni autori indipendentemente dal genere di musica che fanno. Penso che l’ammirazione che ho sempre provato per gente come Willie Dixon, Tampa Red, Paul Simon, Kris Kristofferson, Hank Williams, Cole Porter e altri ancora sia stato il motore principale che mi ha spinto a scrivere canzoni. E prendo a prestito qualcosa da ognuno di loro come da John Hiatt, Guy Clark o dal fantastico Townes Van Zandt. Ognuno di loro ha fatto sì che io vedessi il mondo in maniera diversa, che vedessi le storie che ci sono intorno a me per poterle comunicare.
Per quanto concerne le idee per le canzoni, l’ispirazione può arrivare da qualsiasi parte! Se mi capita di sentire una parola o una frase interessanti, me le appunto e poi comincio a suonarci sopra qualcosa. Ma ti dirò di più: le buone canzoni si scrivono anche da sole, una volta che c’è una traccia. Alcune delle mie canzoni come I’m Getting Late o My Hurry Done Broke erano basate su spunti umoristici, mentre altre sono nate da considerazioni del tipo “...uhm, mi pare che questa frase suoni bene….”. Ce ne sono altre invece, come I Always Meant To Love You e Cotton Road, dove la storia e l’idea di base erano già ben sviluppate ma mi mancava giusto quel particolare verso per fare in modo che tutto fosse compiuto. Io abito in Cotton Road, inoltre stavo lavorando all’idea di raccontare la storia del cotone. Un giorno, tornando a casa, mi venne l’illuminazione che, improvvisamente, scatenò la valanga e la canzone si scrisse pressoché da sola.
MB: proprio come i veri bluesmen, sei solito farcire le tue canzoni con arguti, fantasiosi e ironici testi, aspetti che sono tipici di questo genere e che aiutano a non prendersi troppo sul serio.....
MK: questo è ciò che il blues è per me. Se non racconta una storia e non ci mette un po’ di umorismo e immaginazione, diventa solo un’accozzaglia di parole che riempiono lo spazio che c’è tra l’assolo della chitarra e quello dell’armonica. So che a molti questo non interessa ma, francamente, io voglio sentire la storia in una canzone e, se la canzone non ne ha una, non la ascolto una seconda volta.
MB: tu hai sempre esplorato il blues come la 'roots music' e questo ti ha allenato a tenere gli occhi aperti su tutto, mescolando influenze diverse, portando una ventata di aria fresca e restando fedele a ciò che chiami “free range blues” e tutto ciò è ben evidente in questo disco…..
MK: il blues è un genere ampio perché, sebbene abbia avuto origine nel sud degli Stati Uniti, quella è una regione molto vasta, esposta a numerose influenze, tanto che il blues ha dato vita a tanti altri stili musicali; stili che amo senza distinzione. Non ho nessuna intenzione di costringere il blues dentro una scatola e dire che, se una canzone non rispetta un certo standard, allora non è blues. Ad eccezione di un solo caso: il blues è nato dall’esperienza degli afroamericani e se una canzone non può essere ricondotta a quella radice e a quella tradizione, non riesco proprio a pensare che quello sia blues. Ma tutto ciò lascia comunque un grande spazio a molte stilizzazioni musicali e io ho bisogno di essere in grado di concepirle tutte.
MB: la band che ti accompagna in questo disco è composta da eccellenti musicisti sebbene non molto noti, almeno a me, confesso. Ma questa band porta un nome curioso: The Taylor Made Blues Band. La qual cosa mi fa pensare che tu te la sia cucita addosso su misura: non è così?
MK: la band si chiama Taylor Made Blues Band semplicemente perché io (così come pure il bassista), vivo a Taylor, nel Mississippi. Questo nome funziona alla grande perché è semplice da ricordare ma è originale quanto basta per permetterci di risaltare nel mucchio delle altre band. Il mio terzo disco si intitolava Taylor Made Blues, come detto, perché è a Taylor che abito; così, quello mi sembrava potesse essere anche un bel modo per chiamare la band. I membri principali di questa band sono David Dunavent alla chitarra, Lee Williams alla batteria e Leo Goff al basso. David è il mio braccio destro e funge anche da direttore musicale e Lee pure suona spesso con noi. Entrambi, Leo e David, vengono dal Delta, dove sono nati e cresciuti. Leo è un ottimo amico e bassista, ammirato da molti altri bassisti. E’ un amico di lunga data e quando ho avuto bisogno di un bassista per il disco (visto che il mio precedente bassista aveva lasciato il gruppo per andare a suonare con Watermelon Slim), non ha esitato un istante a far parte del progetto. Non suona con noi regolarmente, in verità, perché quel ruolo è ricoperto dal giovane Seth Hill, un altro nato e vissuto col basso in mano.
Sono davvero fortunato ad avere così tanti amici che sono anche splendidi musicisti e desiderosi di aiutarmi a suonare la mia musica. Il blues è anche questo: una meravigliosa comunità di persone.
MB: ora, scendiamo più specificatamente nei singoli brani del disco: intanto mi diresti cos’è '149 Delta Avenue'?
MK: 149 Delta Avenue è l’indirizzo del mio studio di registrazione, nonché di casa mia a Clarksdale, Mississippi. E’ il posto dove facciamo le prove con la band e dove risiedo quando sono là, generalmente un giorno a settimana. E’ un meraviglioso palazzo sulla via principale di Clarksdale e ho sempre pensato che quello potesse essere un buon titolo per un disco oltre che una buona immagine per una copertina! Mio socio, in questa avventura che è stata la registrazione dell’album, è Michael Freeman che è anche il produttore. Io e Michael ci conosciamo da qualche anno a causa del fatto che entrambi siamo coinvolti nella Blues Foundation e abbiamo spesso fantasticato sulla possibilità di lavorare insieme a qualcosa. Questa era l’occasione perfetta per farlo e devo dire che sono particolarmente orgoglioso e felice per questa collaborazione e per ciò che ha prodotto
MB: i due brani in apertura sono probabilmente quelli più tradizionali, per così dire: “I Can’t Slow Down” sembra una personale confessione riguardo al modo in cui vivi e “US 12 To Highway 49” sembra l’autobiografia di un viaggio, lungo le strade del blues, durato una vita….
MK: la prima canzone riguarda assolutamente il modo in cui vivo e sono solito fare le cose. La vita è troppo meravigliosa per essere sprecata! Come dico nella canzone, “...I ain’t gonna do it if I can’t have fun...”.  US12 to Highway 49 è effettivamente la storia del mio viaggio esistenziale. Sono nato e cresciuto nel Michigan, ma vivo nel Mississippi da quasi trent’anni. Ho scritto quella canzone allo spaccio della Hopson Plantation sulla Highway 49. Subito dopo, ho scoperto che un amico del Michigan si trovava pure sulla stessa Highway. Mi colpì il fatto che sembrava la storia della mia vita. L’ho scritta seduto a un tavolo mentre Billy Flynn stava suonando il suo set. L’ho scritta, verso per verso, direttamente sul mio cellulare inviandomela via e-mail così che potessi averne una copia intera subito. A volte, una canzone insiste affinché tu la scriva!
MB: "Alternative Man” è uno dei brani più singolari del disco ed è presente in due versioni differenti: la prima, rilassata e sensuale mentre la seconda, collocata sul finire del disco, ha un andamento più rockeggiante. Sebbene le versioni siano stilisticamente differenti, questo brano suona come la versione rivista e corretta del tema del 'backdoor man' di dixoniana memoria….
MK: l’idea per questa canzone mi è venuta ascoltando il portavoce di un politico parlare di “alternative facts”. Era una frase strana e così, giocandoci un po’ su, arrivai all’espressione “Alternative Man” e capii subito che questa poteva essere la base per una buona canzone blues. Esistono, in realtà, moltissime canzoni basate su quell’idea e la mia era solo un ulteriore modo per esprimere la stessa cosa. Ne ho fatte due versioni perché, mentre stavamo registrando, la band si lasciò prendere un po’ la mano abbandonandosi al rock, ma quello non era proprio il modo in cui sentivo che la canzone avrebbe dovuto essere. Così ho insistito affinché la si registrasse anche nel modo in cui l’avevo immaginata in origine finendo per averne due versioni, entrambe valide. Ecco perché sul disco ci sono tutte e due! Faccio notare che il groove alla base di questa canzone, la linea del basso, è stata presa a prestito dalla mia amica Tullie Brae e dalla sua canzone Cadillac Blues.
MB: “Cotton Road” invece, che inizia come un antico 'holler', parla dei vecchi tempi e vede la presenza, come ospite speciale, di Toronzo Cannon, già artista di casa Delmark, prima e Alligator, poi: raccontaci qualcosa di questo brano….
MK: come ho detto, la struttura base di questa canzone, così come il suo titolo derivano del mio vero indirizzo. Sapevo che la scrittura di questa canzone sarebbe stata una cosa importante e che avrebbe comportato, dunque, una speciale attenzione. Conseguentemente, volevo riuscire a catturare il giusto “feel”. David Dunavent se ne saltò fuori con un bel motivo suonato su una chitarra resonator e le coriste, Daunille Hill e Susan Marshall, ci misero dentro tutto il cuore e tutta l’anima possibili. Volevo, poi, un artista afroamericano a suonare la parte principale di chitarra e sono stato ben fortunato a trovare Toronzo Cannon subito disponibile e pronto a cogliere al volo la mia richiesta. E’ davvero una fortuna fare parte di questa meravigliosa comunità di musicisti. Tutti quelli che hanno suonato in questo brano ne hanno colto l’essenza e hanno capito quanto importante e significativo fosse il pezzo per me, tanto da spingerlo davvero oltre ogni aspettativa. Il risultato finale è molto più grande di quanto potessi attendermi! Io ho scritto il pezzo, ma sono stati tutti i musicisti coinvolti a rendere la canzone quella che è.
MB: e cosa possiamo dire di un’altra ottima canzone come “American Intervention”?
MK: questa canzone rappresenta la preoccupazione che provo per il mio paese che, al momento, non sta funzionando al meglio. Pensando a questo e al modo quasi tribale con cui le persone si stanno comportando, mi sembrava chiaro che lo stato in cui versa attualmente l’America fosse qualcosa di molto simile a quello di un drogato o di un alcolizzato che ha sviluppato quella cattiva abitudine che lo sta distruggendo. Questo è come la canzone mi è stata ispirata. Scrivendola e pensando alla musica, sapevo di aver bisogno di due cose: la prima era la semplicità. Volevo che la canzone potesse respirare, avere lo spazio necessario per trasportare un messaggio. Inoltre, volevo che creasse un’atmosfera da “grande depressione”. Così ho fatto ascoltare, più e più volte, alla band Why Don’t You Do Right di Lil Green perché potessero calarsi nel feeling che desideravo per questo brano. Dopodiché, via libera!
MB: un’altra sorpresa è rappresentata da “Pullin’ Me Down”, un lento blues in minore con tanto di fiati alla maniera di Bobby “Blue” Bland….
MK: Pullin' Me Down è il risultato finale di una canzone che ho scritto e riscritto più volte negli anni. Ciò che ha fatto in modo che tutti i pezzi di questo brano andassero a posto è stato lo stile musicale che desideravo avesse: una sorta di "Bobby Blue Bland incontra Albert King". Una volta chiarito ciò che volevo, tutto è andato al proprio posto egregiamente. Però, nel fare ciò, mi ero dimenticato di aver chiesto ai fiati di pensare a un arrangiamento per questo brano. Pensavamo di aver finito, ma quando vennero fuori con il loro arrangiamento, decisi di lasciarli fare e devo dire che sono ben felice di questa scelta! Kirk Smothers, che ha scritto l'arrangiamento mi ha detto: “...suonava proprio come un brano di Albert King; così ho pensato all’arrangiamento come se avessi dovuto scriverlo per lui”. Perfetto!
MB: come ho già avuto modo di sottolineare, questo disco focalizza l’attenzione sul tuo talento di autore tanto che contiene quasi interamente brani tuoi. Malgrado ciò, sono presenti anche alcune cover: “I Don’t Need No Doctor”, famoso brano introdotto da Ray Charles e poi ripreso da Humble Pie e molti altri, “The Viper” che chiude il cd in modo divertente e jazzato, ma soprattutto mi piace citare “Miss Boss” canzone scritta da uno dei più brillanti e incredibilmente dimenticati e sottovalutati autori blues contemporanei: Larry Garner da Baton Rouge, Louisiana. Sono, dunque, curioso di sapere qual è la ragione che ti ha indotto a scegliere una canzone di Larry Garner?
MK: il primo appuntamento che ho avuto con mia moglie è stato in occasione di un concerto degli Humble Pie. I Don’t Need No Doctor era nel loro repertorio e, da quel momento, è diventata una canzone che ho sempre desiderato fare. The Viper è un brano divertente, ironico e poi, nei miei precedenti dischi, c’è un trascorso in quanto a canzoni che parlano di “fumo”! Miss Boss, invece, è una canzone che ha sempre fatto parte del mio repertorio live fin da quando l’ho sentita la prima volta. Larry Garner la pubblicò nel suo album Blues For Sale che è uno dei miei preferiti di sempre, tanto che suggerisco spesso alla gente di comprarlo. Larry e io, negli anni, ci siamo conosciuti e siamo diventati buoni amici via Facebook. La prima volta che l’ho contattato è stato quando stavo organizzando un concerto per veterani chiedendogli di partecipare e cantare il suo brano Broken Soldier. Larry non potè partecipare e così cantai io quel brano, ma da allora non ci siamo più persi. Quando gli ho detto che stavo per incidere questo pezzo nel mio nuovo disco è stato davvero felice. Vorrei che più persone conoscessero e avessero famigliarità col suo lavoro!
MB: se dovessi dare guardare alla tua discografica, quale pensi possa essere la principale differenza tra il tuo primo e il tuo ultimo disco? E come vedresti il percorso fatto tra ogni singola uscita?
MK: sarei il primo ad ammettere che la principale differenza tra 149 Delta Avenue e i miei dischi precedenti è la maturità, tanto nel modo di scrivere le canzoni, quanto in termini di produzione. Ho sempre cercato di migliorarmi album dopo album, avendo come obiettivo uno standard molto alto. E, dopo sei album, ciò che ho imparato in fatto di produzione è stato sorprendente. Lavorare con Michael Freeman per quest’ultimo disco mi ha permesso di imparare ancora di più, ma mi ha fatto sentire anche maggiormente responsabile del processo di produzione, semplicemente perché avevo un’idea molto chiara di ciò che desideravo ottenere quando invece, nei precedenti dischi, il risultato finale era sempre una sorpresa (sebbene, in genere, una buona sorpresa).
MB: devo dire che, ascoltando i tuoi dischi, viene fuori chiaramente il tuo amore per il blues. Oltre tutto tu sei sempre stato un instancabile supporter e divulgatore di questa musica; cosa che ti ha portato a far parte, anche in qualità di vicepresidente, della Blues Foundation così come di altre realtà come The Blues Music Awards, The Hart Fund, ecc. Potresti dirci qualcosa di queste associazioni e di cosa significhino per te?
MK: non è certo un segreto che io abbia sempre amato il blues e ne abbia sempre frequentato l’ambiente. Sono stato coinvolto nella Blues Foundation quando facevo parte dell’International Blues Challenge. Inizialmente, mi era stato chiesto di fare il giudice ma poi, man mano che il tempo passava, ne sono rimasto sempre più coinvolto. Adoro ciò che fa la Blues Foundation e condivido la sua missione quindi ho avvertito la responsabilità di fare ciò che era in mio potere per dare una mano, per così dire, alla causa. Incidere i miei dischi l’ho sempre vista come un’opportunità per diffondere e far conoscere meglio l’attività della fondazione e, contestualmente, raccogliere un po’ di soldi in loro favore. The Blues Foundation mi ha dato davvero molto e a più livelli. Quindi, il farne parte l’ho vista un po’ come l’opportunità per restituire loro qualcosa.
MB: un’ultima cosa: in aggiunta a tutto quello che hai appena detto in merito a queste tue attività, qualcuno mi ha raccontato che tu hai dato vita a una nuova casa discografica e che hai pure già messo sotto contratto alcuni eccellenti artisti. Allora, raccontaci qualcosa anche di questa ultima avventura….   
MK: ho fondato questa nuova etichetta, la Endless Blues Records. L’ho fatto principalmente per aiutare amici, che sono davvero degli ottimi artisti blues, a pubblicare i propri dischi e portarli all’attenzione di un pubblico più vasto. Questo è un ulteriore modo per restituire qualcosa, di quanto ho ricevuto, al mondo del blues. Non ho l’obiettivo di far soldi con la casa discografica; solo quello di non perderne troppi casomai! E’ soltanto un modo per aiutare artisti indipendenti a tirar fuori il meglio dal loro lavoro.
Abbiamo già pubblicato due dischi: questo mio 149 Delta Avenue e Strong Roots degli In Layman Terms.  Il prossimo sarà A Storm Is Coming di David Dunavent, che è anche il chitarrista della mia band, e Alive di The Sister Lucille Band; entrambi usciranno nei primi mesi del 2019. Saranno, poi, seguiti dai nuovi album di Tullie Brae, Kern Pratt e Santini Jensen Project. E, probabilmente, pure io uscirò con un nuovo disco nel prossimo anno. Davvero non riesco a fermarmi!!
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