Mike Sponza - Made in the sixties
Recensioni
Il disco raccontato da...
Mike Sponza
MIKE SPONZA
"Made in the sixties"
Epops Rec. (I) - 2018
1960 - Made in the sixties/1961 - Cold, cold, cold/ 1962 - A young Londoners's point of view on cuban crisis/ 1963 - Day of the assassin/1964 - Glamour puss/1965 - Even Dylan was turning electric/1966 - Spanish child/1967 - Good lovin'/1968 - Just the beginning/1969 - Blues for the sixties
Mike Sponza (al centro) all'ingresso degli Abbey Road Studios di Londra
Sulla scena da anni e forte di diverse collaborazioni internazionali, Mike Sponza, musicista e autore triestino con anima mitteleuropea, stupisce ancora. Dopo l'uscita, nel 2016, del sorprendente e seducente Ergo Sum, torna ora con Made In The Sixties, un nuovo concept album il cui punto di fuoco insiste sugli anni '60 e sugli avvenimenti di quell'epoca.
Nell'intervista che segue, abbiamo cercato, con lui, di tracciarne il perimetro ed evidenziarne i tratti caratterizzanti....
Macallè Blues: dopo 'Ergo Sum', torni con un nuovo “concept album” dal titolo altrettanto esplicito: 'Made In The Sixties'. Lo spunto che sta alla base di questo lavoro è quello di realizzare una sorta di tributo agli anni ‘60. Come ti è nata quest’idea e perché hai pensato proprio a quel periodo storico?
Mike Sponza: sono sempre stato attratto da tutto quel mondo culturale legato agli anni sessanta: dalla musica ai film, dalla moda al design… Ho semplicemente deciso di trasformare questa specie di ossessione in un’idea per sviluppare delle canzoni: l’incontro con Pete Brown – autore/icona del rock blues inglese – ha dato il via alla creazione dei brani. E’ stato un decennio di grande progresso in tutti i campi e, ancora oggi, sentiamo gli effetti di quel periodo. Sicuramente, alcuni aspetti di quegli anni non sono mai passati di moda e testimoniano come sia stata una decade ricca di “instant classics” in tutti i campi dell’espressione umana. Alcuni di noi cercano di rivivere quelle sensazioni, forse a causa del vuoto spinto che la quotidianità propone in questi anni: allora ci si ispira a quella musica o a quei film, si recuperano elementi della moda e del design, ad esempio.
MB: ascoltando il disco, non ho percepito uno spirito tipicamente nostalgico verso quel particolare periodo. Piuttosto, mi è parso di avvertire un’impostazione, per così dire, “giornalistica”, come se ogni singolo brano fosse quasi un articolo di giornale, sebbene scritto con linguaggio immaginifico e anche poetico, dedicato a uno specifico accadimento, di reale cronaca o altro. Del resto, gli anni ‘60 sono stati un’epoca caratterizzata da alcune immagini, anche ben precise, che fanno parte dell’immaginario collettivo e che qui vengono efficacemente trasposte in racconto.....
MS: quando ho iniziato a lavorare sul concept, ho avuto un approccio molto “cronologico”: per ogni anno, ho raccolto tutti gli eventi, i fatti, i personaggi etc… per poi iniziare a sviluppare un filo logico e artistico che li collegasse in maniera organica. Sicuramente è rimasta un po’ di impostazione “giornalistica”.
In effetti, gli anni ’60 sono il primo decennio di cui abbiamo un reportage moderno, quasi multimediale, a cui possiamo accedere quotidianamente: nei decenni, poi, l’immaginario sixties è sempre stato stimolato continuamente da film, arte, musica. E’ tutto vivo e vivace ancora oggi.
MB: i brani presenti sono dieci, tutti originali come è pure originale l’idea di affiancare, al titolo di ognuno, il riferimento all’anno specifico di cui affronta un aspetto peculiare. Si parla di questioni politiche, sociali e anche di costume. Del resto, negli anni ‘60 è successo di tutto….
MS: è per questo che ne ho fatto un disco! Tutto quello che è successo ha influenzato talmente tanto i decenni successivi, sotto tutti gli aspetti…
MB: diamo, allora, uno sguardo ai brani. Quello omonimo di apertura, funge proprio da introduzione a questo viaggio negli anni ‘60 e ha un marcato 'groove' alla James Brown, salvo poi subire una temporanea metamorfosi stilistica nel ritornello..…
MS: in effetti avevo in mente un groove alla James Brown su questo brano, che parte da una struttura blues, per poi aprirsi sul ritornello con un cambio armonico a là Beatles, su un accordo di sesta. I fiati e i cori riportano poi tutto in un alveo soul.
MB: con il successivo '1961 – Cold Cold Cold' ci si addentra un po’ più nell’esplorazione del decennio accostando fatti storici (JFK, Kruscev, la guerra fredda) a fenomeni e personaggi musicali (Hendrix, Ben. E. King, Chubby Checker, etc.). Ci sono immagini splendide come “...the Orient Express has left while Brubeck was taking five...” ed è tutto, poi, esemplificato dalla formula “...music was gettin’ hot while the war was gettin’ cold….”. E’ stato proprio così: fermenti sociali e musicali che si intrecciavano….
MS: questo è il brano documentaristico dell’album. Abbiamo mescolato tutti gli avvenimenti musicali e politici di quell’anno, proprio per dimostrare lo scollamento (molto attuale, in verità), tra lo spirito della musica e la politica. Una unisce, l’altra divide. Anche l’ultimo viaggio dell’Orient Express esprime proprio la divisione causata dalla guerra fredda… proprio nell’anno della prima esibizione pubblica di Jimi Hendrix…
MB: con '1962 – A Young Londoner’s Point Of View On Cuba’s Crisis', comincia, poi, il vero viaggio. La crisi di Cuba e, a seguire, l’omicidio di JFK con 1963…
MS: le tre canzoni dal 1961 al 1963, sono collegate da questi filo oscuro: da qualunque prospettiva ci muovessimo, i fatti più importanti riguardavano Cuba, JFK e la Guerra Fredda. A Young Londoner’s Point Of View On Cuba’s Crisis è un vero testo autobiografico di Pete Brown che, nel 1962, partecipò a una manifestazione a Trafalgar Square documentata, fra l’altro, da un video disponibile su YouTube.
Ho voluto dare al brano un sapore latino, elaborando un groove di Mongo Santamaria proprio di quell’anno. Day Of The Assassin parla ovviamente di JFK, con una venatura classic rock evidenziata dalla potente voce di Nathan James, frontman degli Inglorious.
MB: poi, però, abbiamo anche gli aspetti più “leggeri” con 'Glamour Puss' e 'Good Lovin’' che sono anche i brani dove avverto, tra le righe, un po’ di più l’influenza musicale dei ‘60.....
MS: la scintilla creativa dell’intero album è stata innescata dalla scena di Ursula Andress che esce dal mare in Dr. No – James Bond! Glamour Puss è dedicata alle splendide donne degli anni ’60, al mondo glamour del jet set, delle limousine, dei party. Ho abbinato un tema di chitarra molto tipico, evidenziato dall’unisono con la celesta di George Martin che abbiamo trovato in un angolo dello Studio 2 di Abbey Road. Good Lovin’, dedicato alla Summer Of Love del 1967, è interpretato da una vera protagonista londinese di quell’estate, Dana Gillespie.
MB: devo dire che uno dei brani che più mi hanno colpito è '1965 – Even Dylan Was Turning Electric', tanto per il fatto che effettivamente la conversione di Dylan alla chitarra elettrica fu veramente un evento dirompente per taluni, quanto per l’ottima idea musicale di mantenere, nel brano, una doppia anima: acustica ed elettrica….
MS: un evento musicale che ho voluto trasformare in una metafora del cambiamento. Pete Brown ha elaborato l’idea in maniera fantastica: è il mio brano preferito dell’album. Ci sono tante chitarre, tanti richiami, un coro gospel di trenta elementi e la stupenda voce di Eddi Reader.
MB: dal punto di vista musicale, però, non trovo che il disco sia unicamente o, quantomeno, marcatamente caratterizzato dalle sonorità tipiche degli anni ‘60, come uno potrebbe essere facilmente portato a credere. Per esempio, ci sono almeno un paio di brani, 'Spanish Child' e 'Just The Beginning' dove avverto più un’influenza legata agli anni ‘80. Ci sento addirittura un po’ di Steely Dan….
MS: per questo album, ho voluto fare una bella pulizia mentale prima di arrangiare i pezzi. Volevo liberarmi del pensiero “Io ho sempre fatto blues”. Per questo ho lasciato che tutte le mie influenze, gli ascolti, sedimentati negli anni, tornassero in superficie. Comprese certe sonorità anni ‘80. Ogni brano del disco ha un sapore diverso. I brani che hai citato, sono quelli che, dal vivo, riscuotono più successo, pur essendo un po’ criptici e non immediati. Forse riflettono il mio vero sound…
MB: e poi si conclude col trionfo del blues: '1969 - Blues For The Sixties' è un moderno blues elettrico dove la chitarra mescola influenze alla Albert King e Albert Collins fino a sfociare in un solo caratterizzato dall’uso del wah-wah, una diavoleria chitarristica anni ‘60 sempre….
MS: il mio brano autobiografico…sì, c’è molta carne al fuoco nella traccia di chiusura dell’album. Ho voluto “riportare la palla al centro”. Blues elettrico, arrangiamento moderno, chitarra eroica… Funziona bene in Germania.
MB: nei brani dove sono presenti, una netta caratterizzazione sonora viene data anche dai fiati. Solo solo due, sax e tromba, ma paiono, anche grazie a ottimi arrangiamenti, una sezione ben più corposa: chi sono Chris Storr e Aaron Liddard?
MS: io adoro arrangiare i fiati, mi piace farlo in modo che siano integrati nella canzone, non semplicemente aggiunti. Mi ha aiutato in ciò un magnifico musicista sloveno: Kay Kay Beganovic.
Il trombettista (anzi, trombista, per dirlo a là Morricone…) è Chris Storr, che fa parte della Jools Holland Band alla BBC, ed è uno dei session men più richiesti a Londra – adesso sta lavorando con Paul Weller. Il sax tenore di Aaron Liddard lo si può ascoltare sui dischi di Amy Winehouse, oppure dal vivo con l’eccezionale bluesman Sugaray Rayford.
MB: veniamo agli ospiti (canori) presenti: torna la grande Dana Gillespie, seconda regina d’Inghilterra, ma si aggiungono Eddi Reader e un sorprendente Nathan James, cantante che non ha proprio un background blues, ma una gran voce sì. Parlaci un po’ di quest’ultimi due…..
MS: Pete Brown mi ha suggerito questi due ospiti, e gliene sono grato. Eddi Reader era la cantante dei Fairground Attraction e nel 1989 ha avuto un successo planetario con “Perfect” – brano ancora ascoltatissimo alla radio. Abbiamo registrato a Glasgow, dove Eddi vive: una persona magnifica.
Nathan James è un giovane cantante di classic hard rock: una voce incredibile, potentissima. Con la sua band, Inglorious, si sta imponendo sulla scena mondiale.
MB: riguardo agli ospiti, un discorso a parte va fatto per il leggendario, e già citato, Pete Brown, musicista, cantante, autore e poeta londinese; tanto per quella che è stata la sua storia artistica, che lo ha visto, come autore, al fianco - per dire - di Jack Bruce e dei Cream, quanto per il fatto che è la persona con la quale hai scritto tutti i testi del disco e che interpreta, come cantante, '1962 – A Young Londoner’s Point Of View On Cuban Crisis', brano latineggiante che parla della crisi a Cuba...
MS: quando il produttore Rob Cass mi ha presentato Pete Brown, alla Marshall Records di Londra, ho avuto un attimo di stordimento nel pensare che avrei scritto i brani del mio disco con uno dei maggiori autori della musica rock di tutti i tempi! Pete ha scritto White Room, Sunshine Of Your Love, Politician, I Feel Free…
Ha capito subito cosa volevo fare, e con entusiasmo giovanile (classe 1940) ha voluto venire a Trieste per delle rilassatissime writing sessions a base di thé – inglese, of course.
MB: come 'Ergo Sum' e, a maggior ragione, 'Made In The Sixties' è stato registrato a Londra nei leggendari studi di Abbey Road, un tempio della musica che raggiunse il suo massimo splendore – ma guarda un po’ - proprio negli anni ‘60…..
MS: ho registrato a Abbey Road il mio album del 2014 Ergo Sum e ci sono tornato per Made In The Sixties. L’incontro con il produttore Rob Cass è stato fondamentale per portare la mia musica in quel luogo “sacro”: ci siamo conosciuti tramite un amico musicista, mentre cercavo un produttore per l’album che volevo registrare a Londra. Per Made In The Sixties, Rob mi ha fatto conoscere Pete Brown e, da lì, è nata la collaborazione. Abbey Road è tuttora il più grande studio di registrazione al mondo e gli standard sono elevatissimi – quando un disco esce da lì, suona alla grande.
MB: gli anni ‘60 (e tutti i ‘70) sono stati caratterizzati dalla presenza del vinile che dava, agli amanti della musica, anche quelle sensazioni di piacere tattile, visivo, uditivo, gestuale (ah...quando si metteva il disco sul piatto!!!), quella sensazione di scoperta ed esplorazione che sono abbondantemente andate perdute con l’avvento del cd. Bene: per questo tuo disco hai scelto, anche in maniera simbolicamente significativa, la stampa in versione vinile oltre a quella in formato cd….
MS: pensa che avrei voluto persino evitare la stampa del cd… !
MB: i fumetti sono un’altra presenza tipica degli anni andati e, dunque, anche dei ‘60. Un’ultima osservazione, allora, dobbiamo farla in merito all’efficace grafica fumettistica del disco, curata da Romeo Toffanetti: un’auto, Londra sullo sfondo e tanti “paesaggi” che rammentano visivamente i principali temi del disco e rendono bene la metafora del viaggio attraverso quel periodo….
MS: le immagini degli anni ’60 che ognuno di noi ha in mente sono tantissime....in ogni campo. E’ stata l’esplosione del mondo dei media moderni. Tuttavia, non volevo usare fotografie esistenti, ma dare all’artwork del disco un sapore più sixties, appunto, che richiamasse certe immagine in stile Michel Vallant, con l’automobile al centro della scena; con colori particolari, nitidi e vivaci; con scene collegate tra loro per rappresentare il viaggio temporale che si svolge nell’album. Romeo Toffanetti vive a Trieste, ed è stato un piacere conoscerlo, sia per l’apporto artistico che ha dato a Made In The Sixties, che come persona. Un “sixties boy”, come me.