The Hitman Blues Band - Not my circus, not my monkey - Macallè Blues

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The Hitman Blues Band - Not my circus, not my monkey

Recensioni

Il disco raccontato da...

Russell "Hitman" Alexander

THE HITMAN BLUES BAND

"Not my circus, not my monkey"

Nerus Rec. (USA) - 2021

Not my circus/Buy that man a drink/Nobody's fault but mine/John The Revelator/No place like home/The times they are a-changin'/You can't say no/Walk with you/You don't understand/Everybody but me/Go down fighting

    
Con il nuovo album, fresco di stampa, Not My Circus, Not My Monkey, la Hitman Blues Band ci consegna, tanto dal punto di vista musicale quanto lirico, uno dei dischi più ispirati dell'intera carriera.
Il lavoro mostra, appieno, la forza e la potenza sonora di una band in grado di raggiungere standard musicali elevati grazie alle singole, spiccate, individualità, parti essenziali di questo favoloso collettivo, e alle perfette, conseguenti, dinamiche risultanti.
Su tutti, a meritare riconoscimenti ed elogi, è sicuramente il leader, Russell "Hitman" Alexander. Le sue doti di chitarrista, paroliere e cantante hanno, soprattutto negli ultimi due decenni, trasudato brillantezza e creatività ad alti livelli; ma, Not My Circus, Not My Monkey sorpassa, a mio avviso, tutto ciò che l'artista americano ha pubblicato in precedenza.   
Proprio per questo motivo, abbiamo deciso di fare quattro chiacchiere attorno al disco direttamente con lui.....


 
 
Macallé Blues: Russell, il motivo per il quale ho deciso di presentare “Not My Circus, Not My Monkey” intervistandoti è perché, durante la tua carriera hai sempre dimostrato di essere un maestro nel fondere i tuoi talenti di chitarrista e autore di canzoni ma, soprattutto con quest’ultimo disco, credo davvero tu abbia raggiunto la tua massima espressione, avendo dato alle stampe quello che, secondo me, è il tuo disco migliore, tanto dal punto di vista musicale che lirico. E questo fatto ritengo meriti un adeguato approfondimento, non credi?
Russel “Hitman” Alexander: è estremamente gentile da parte tua. Sono molto contento del modo in cui l’album è uscito e, devo dire, che sono anche un po’ sorpreso nel ritrovare questa stessa tua reazione anche nelle altre persone, inclusi i membri della band. A me, ovviamente, piacciono tutte le canzoni che ho registrato; ma è anche bello sentirsi dire, dalla gente, che sto migliorando;
MB: The Hitman Blues Band è un collettivo formato da musicisti di prima grandezza. Dunque, il risultato è un’ovvia conseguenza di questo aspetto. Ma i buoni musicisti non bastano: c’è bisogno di avere la giusta chiarezza di idee e di visione per organizzarle (idee e musica!) nel migliore dei modi. Con questo disco, sembra proprio tu abbia raggiunto un incredibile livello di perfezione, in tal senso….
R“H”A: molto del riconoscimento per questo va al produttore e ingegnere del suono Bob Stander. Sai, entri in studio con le canzoni completamente arrangiate: parti dei fiati scritte, linee di basso fatte, parti di batteria e chitarra definite. Poi inizi a registrare e gli arrangiamenti, che prima suonavano così bene nella tua testa e anche dal vivo, all'improvviso non brillano più come prima. Ed è lì che un tipo come Bob, che è anche un musicista di incredibile talento, riporta il disco sul binario giusto. Prova ne sono le versioni demo contro le versioni finite registrate;
MB: parliamo della band che ti accompagna che, oltretutto, include una nutrita sezione fiati che dà, al disco, un gran bel “big brass groove”…..
R”H”A: il batterista Guy LaFountaine e il bassista Mike Porter suonano con me da molto tempo. Lavorano molto bene insieme e capiscono al volo il suono che cerco di ottenere. Inoltre, siamo stati fortunati ad avere di nuovo Kevin Bents, che era anche nell’ultimo album, alle tastiere così come Mike Katzman, che ha fatto un fantastico assolo in John The Revelator. Su suggerimento di Bob, all’ultimo minuto e sempre alle tastiere, abbiamo aggiunto Adam Minkoff che suona in No Place Like Home e tiene davvero tutto insieme come la colla. Poi ci sono i fiati: Eric Altarac, John Kelly e Nick Clifford sono con me da circa sei anni e hanno sopportato le mie scalette mal scritte (in questo, sto migliorando!) e correggono i miei impossibili salti di estensione. Eric ha anche curato un paio di arrangiamenti per l'album, e quello di Everybody But Me è lo stile assolutamente perfetto di Lester Lanin/Peter Duchin, con cui hanno suonato entrambi. Avrei voluto anche Michael Snyder a suonare nel disco, con cui ho lavorato per anni, ma si è ammalato e non ha potuto partecipare alle sessions. E poi c’è il talentuoso Mikey Vitale al sax contralto (può anche suonare qualsiasi altro strumento a fiato) che ha veramente spaccato, come si suol dire. E poi ancora mia moglie, Joanne, e quella di Mike Porter, Nancy Hampton, ai cori: cantano insieme a noi da circa sei anni e quando scrivo cerco sempre di approfittare di loro;
MB: leggendo il volantino di presentazione del disco, ho trovato una definizione relativa alla tua musica che mi ha lasciato, per così dire, perplesso: “modern/alt blues”, qualsiasi cosa significhi. Musicalmente parlando, il tuo è un affascinante mix sonoro ma, tu, come definiresti il genere di musica che hai creato assieme alla tua band, se dovessi definirlo?
R”H”A: quel termine (modern blues) è stato usato perché la nostra non è musica blues degli anni '50/'60/'70, non è blues-rock o blues-jazz, ecc.; è una combinazione di tutto questo. Mi sembra che ci siano molte band che corrispondono a questa definizione. È stata mia figlia Victoria a suggerire di aggiungere “alt blues” perché ben si adatta al genere e potrebbe essere una definizione più allettante per un pubblico giovane che, magari, non ha familiarità con il blues. Un commento che riceviamo molto spesso ai concerti dal vivo è "non mi piace il blues, ma mi piace quello che fate!". Bene, noi, suoniamo il blues. Ma, quello che suoniamo, è un blues diverso;
MB: questo album è un esercizio riuscito di bilanciamento tra materiale inedito e poche, sorprendentemente arrangiate covers; per cominciare, diamo un’occhiata agli originali! Il brano di apertura è un irresistibile e cantabile pezzo con un testo divertente….
R”H”A: Paul Gilmore, che è stato il nostro bassista per un paio d'anni durante la pausa di Mike Porter, ha usato quella frase, “Not my circus, not my monkey” durante un tour nel Regno Unito. Non l'avevo mai sentito prima d’allora e subito mi sono detto che avrei dovuto scriverci una canzone! La canzone, praticamente, si è scritta, poi, da sola e ho dato credito a Paul per il copyright, perché io non ci avrei mai pensato! So che quella è una vecchia frase, ma non l'avevo mai sentita prima;
    MB: a seguire troviamo ‘Buy That Man A Drink’ che porta con sé, assieme a un’atmosfera schiettamente New Orleans, anche umorismo e ironia
    R”H”A: quella è un’espressione disturbante che, mio fratello, che è un comico, una volta mi ha suggerito. L’ho spesso utilizzata dal vivo, quando una persona ubriaca disturba troppo: una cosa come “...mi pare che a quel tipo manchi un solo drink per perdere il suo ultimo neurone: barista...vorrei offrirgli da bere!”. Ecco che, alla fine, ne ho fatto una canzone;
    MB: ‘You Can’t Say No’ è un brano che non sfigurerebbe nel repertorio di qualche soul man tipo Billy Price (qui, tu ricordi anche la sua voce!). E pure ‘You Don’t Understand’ batte quello stesso sentiero….
    R”H”A: volevo scrivere un brano fortemente basato su un groove, un po’ come Smokestack Lightning, senza imitarlo proprio, ma usando un groove in senso esteso, ed ecco che ho scritto You Can't Say No. Il testo deriva dalla mia considerazione su come, invecchiando, le cose talvolta semplicemente accadano. Del resto, gran parte della mitologia greca stessa conferma questo punto: il tuo destino è il tuo destino. Qualunque cosa tu faccia per fermarlo, lo farà solo accadere ancora di più. Anche You Don't Understand è un brano molto incentrato sul groove, anche se non interamente. È una canzone d'amore per mia moglie, Joanne. Nel tedio occasionale della vita di tutti i giorni, talvolta la passione, nell'ambito di una relazione, viene tralasciata. È ancora lì, ma l'altra persona potrebbe non rendersene conto;
    MB: invece, ‘Walk With You’ e ‘Everybody But Me’, guardano indietro, sebbene in maniera differente, allo stile e al suono degli anni ‘50 e ‘60…
    R”H”A: Walk With You è una canzone divertente che trova spunto, come tutte le altre canzoni, dalla mia vita. Quando ero giovane e cercavo di iniziare una storia con qualche ragazza dicevo "Facciamo due passi? Niente di che; nessuna pressione. Ma faresti due passi con me, ovunque?!". Invece, Everybody But Me è nata, originariamente, come una ballata jazz, completa di sezioni d’archi. Scherzi a parte, dimmi se non c'è qualcuno che, nella vita, non abbia mai pensato "...che cavolo! Com'è che tutti sono là fuori a fare sesso e a divertirsi tranne me?". Io ho anche un trio con John Kelly (che suona anche chitarra e basso simultaneamente!) e Guy LaFountaine chiamato Not For Kids e quella era una delle canzoni che avevo proposto per il repertorio del trio. John rise così forte quando la ascoltò la prima volta. Così dissi che pensavo di inserire questo brano nel nuovo album della Hitman Blues Band e lui disse "devi inserirlo assulutamente!" È stato, poi, Bob Stander a far funzionare davvero quel groove anni '50, con l'aggiunta della chitarra vibrolux;
    MB: beh...a questo punto è venuto il momento di parlare un po’ delle tre covers presenti! Bisogna subito dire che, nessuna di queste, è una semplice 'cover version' ma una vera e propria rilettura originale di brani altrui. La prima che incontriamo è 'Nobody’s Fault But Mine' di Blind Willie Johnson. Il tuo è un rifacimento che comprende sia una revisione del testo che un’affascinante ridefinizione dell’intera struttura del brano grazie a un sapiente lavoro dell’intera band….
    R”H”A: ho sempre pensato che, se hai intenzione di fare la cover di una canzone, tu debba farla nel tuo stile. Del resto, anche se tu cercassi di essere fedele all’originale, non suonerebbe mai allo stesso modo. Blind Willie Johnson era una persona incredibile; la sua voce era una su cento milioni. Detto ciò, al suo brano volevo aggiungere versi che fossero più significativi per me. Così, ho mantenuto il ritornello, che è intoccabile e ho aggiunto altro;
    MB: l’altra sorpresa è 'John The Revelator', brano che è stato interpretato da tanti e tante volte, ma mai in maniera così fantasiosa prima! Nella tua versione, tutte le altre divinità (Buddah, Odino, Brahma...) si alternano per dare la propria personale versione su come sarà la fine dei tempi….
    R”H”A: John The Revelator è un'altra meraviglia di Blind Willie Johnson; già fantastica nella versione originale. Però, mi chiedevo: Giovanni di Patmos, seduto sulla sua isola, solitario, a scrivere il Libro dell'Apocalisse quando ogni religione ha il proprio punto di vista sulla fine dei tempi? E se qualcuno degli altri dei noti fosse passato da lì, in quel frangente, e avesse offerto la sua versione? Mi piace il modo in cui è riuscito il brano, proprio come l'ho sentito nella mia testa. A parte il finale, dove Bob ha aggiunto i fiati da soli. Non riuscivo a smettere di ridere quando l'ho ascoltato. Sembra proprio la parte finale di Minnie The Moocher: perfetto!
    MB: e poi abbiamo 'The Times They Are A-Changin’' di Bob Dylan. Non avrei mai pensato, un giorno, di ascoltare un pezzo di Dylan in versione funky! Nell'approcciarlo, bisogna proprio dimenticarsi dell’originale ma, devo dire, che funzione molto bene….
    R”H”A: ti ringrazio. Prima di suonarla dal vivo, avverto sempre gli ascoltatori: “se siete dei fans di Dylan, potreste tanto amare quanto odiare questa versione”. E abbiamo avuto entrambe le reazioni. È un gran pezzo: rilevante ora come lo era nel 1963. Anzi, forse oggi lo è anche di più! È la parte ritmica che lo fa funzionare; quel solido groove di basso e batteria;
    MB: l’intero disco contiene influenze che oscillano tra blues, R’n’B, soul e rock. L’unico brano che esula, un po’, da questo contesto stilistico è la ballata pianistica ‘No Place Like Home’ che ricorda, in qualche modo, per intensità lirica e impostazione melodica, ‘Feels Like Home’ di Randy Newman….
    R”H”A: ho dovuto cercare questa canzone ma, poi, l'ho riconosciuta immediatamente. E mi sono ricordato che Joanne, mia moglie, la cantava durante le sue lezioni di canto! Ho scritto No Place Like Home perché stavo cercando di affrontare l'imminente morte di mia madre. È rimasta ricoverata in un ospizio per oltre due anni ed è stata dura per tutti vederla logorarsi lentamente, nella piena consapevolezza di quanto le stava accadendo. Questa esperienza mi ha fatto capire che, per molte persone, me compreso, c'è un posto che consideri ‘casa’. Anche se hai creato la tua famiglia, c'è sempre un luogo, una persona o una situazione che consideri ‘casa’. Ma le cose cambiano sempre e, a volte, quella ‘casa’ non c'è più. A causa della morte o di altre circostanze, quella tua àncora è scomparsa. Certo, la vita va avanti e anche questo è qualcosa che si imparerà ad affrontare, ma ci sarà sempre un buco che, una volta, per te, era ‘casa’;
    MB: lasciando perdere ogni inutile discussione sui generi musicali e per riassumere il tutto, potremmo dire che ‘Not My Circus….’ è un disco moderno, creativo, ben scritto e meravigliosamente suonato, profondamente radicato nella più schietta tradizione americana: che ne dici?
    R”H”A: l'unico motivo per cui scrivo canzoni è comunicare. Per far sapere agli altri che non sono soli; che la loro situazione, buona o cattiva che sia, è condivisa. Sono lieto che tu abbia avvertito un certo legame con la mia musica e che ti sia preso del tempo per pormi delle domande in proposito. Questo è il più grande complimento che un musicista o un cantautore possa sperare di ricevere. Grazie!
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