The Proven Ones - Wild Again - Macallè Blues

Macallé Blues
....ask me nothing but about the blues....
Vai ai contenuti

The Proven Ones - Wild Again

Recensioni

Il disco raccontato da...

Jimi Bott

THE PROVEN ONES

"Wild again"

Roseleaf Rec. (USA) - 2018

Cheap thrills/City dump/Don't leave me this way/If you be my baby/Why baby why/Road of love/Right track now/Wild again/Loan me a dime/Don't let me down - Proven fugue in E Major
da sinistra: Jimi Bott, Willie J. Campbell, Kid Ramos, Anthony Geraci e Brian Templeton

The Proven Ones è una delle gradite sorprese del 2018 ed è ciò che potremmo definire, con leggera semplicità, una all-star-band. Nata, quasi per gioco, lo scorso anno, questa formazione riunisce, sotto un'unica bandiera, le due coste degli States - est e ovest - il blues di estrazione californiana con quello di area bostoniana e annovera, tra le sue fila, personaggi di lungo corso come Brian Templeton (Radio Kings), Kid Ramos (James Harman, Lynwood Slim, The Fabulous Thunderbirds, The Mannish Boys), Willie J. Campbell (James Harman, The Fabulous Thunderbirds, The Mannish Boys), Anthony Geraci (Sugar Ray & The Bluetones) e Jimi Bott (Rod Piazza & The Mighty Flyers, The Fabulous Thunderbirds....).
In quest'intervista, col batterista Jimi Bott, abbiamo affrontato la genesi della band e gli aspetti peculiari di questo disco, a metà strada tra tradizione e modernità, nonché ben rappresentativo delle varie influenze cui i suoi componenti tutti sono stati esposti nel corso degli anni....

Macallè Blues: Jimi….la primissima e, forse, più ovvia osservazione che si potrebbe fare è che 'The Proven Ones' pare proprio essere quella che potremmo definire una super-band. Non per nulla è formata da un pugno di ben noti musicisti blues, già candidati a diversi Music Awards: tu, alla batteria, una delle migliori chitarre della West Coast come Kid Ramos, il muscolare Brian Templeton alla voce, il maestro Anthony Geraci alle tastiere e Willie J. Campbell al basso. Come è venuta l’idea di mettere su questa band e a chi è da attribuire la “colpa”?
Jimi Bott: Ah!...mi piace questa cosa della “colpa”! Beh, è successo che, un paio di anni fa, Willie J. prese un ingaggio per un concerto di capodanno in Missouri, vicino a dove risiede. La band, per quella serata, era formata da Willie, Kid, Anthony, Sugaray Rayford, Allan Walker e me. Kid, Willie e io ci conoscevamo dagli anni ‘80. Ai tempi, io suonavo con Rod Piazza e loro con James Harman. Dopo, ci siamo ritrovati a suonare insieme nei Fabulous Thunderbirds, prima e, dopo, nei Mannish Boys e poi ancora, insieme ad Anthony e a Sugaray. Allan era il sassofonista della band di Sugaray ed era proprio - lascia che ti dica - un simpaticone! Beh, in occasione di questo concerto di capodanno, durante il quale ci divertimmo davvero un sacco, cominciammo a pensare che avremmo potuto fare più serate di quel tipo, con quella formazione.
Quel concerto fu un tale spasso che decidemmo di ritagliarci un po’ di tempo nelle nostre, sempre molto piene, agende per ritrovarci a Portland, Oregon, nell’aprile seguente, con l’idea di fare un paio di date e provare a registrare qualche demo. Ci recammo nel mio studio, il Roseleaf Recording, e registrammo un paio di brani per vedere come sarebbero venuti.
Poi, Willie cominciò a suggerire canzoni da prendere in considerazione per arricchire il repertorio. I restanti di noi iniziarono a tirar fuori idee dal cappello ed ecco che il progetto cominciò a prendere forma.
In quell’occasione, arrivarono tutti quelli che avevano partecipato a quel famoso concerto di fine anno. Tutti, tranne Allan, a causa del fatto che, in quei giorni, era morta sua sorella. Per i seguenti tre o quattro giorni, tutti fecero base a casa mia. Devo dire che, in quel frangente, mia moglie fu molto accomodante e i bambini si divertirono un sacco all’idea di avere tutti quei pazzi musicisti per casa, pranzo e cena inclusi!
Cominciammo a lavorare al progetto e nel giro di pochi giorni ci rendemmo conto di avere già una decina di canzoni pronte: abbastanza per un disco! A quel punto, Sugaray dovette andare; così, decidemmo di fissare per lui un’altra data in modo tale che potesse tornare per registrare la voce. Solo che, nei giorni successivi, Sugar cominciò a essere sempre più impegnato tanto che, alla fine, dovette abbandonare il progetto. Tutti noi vogliamo bene a Sugaray e, dunque, non ci fu nessun malumore in merito al suo abbandono. Però, ci trovammo nella situazione di avere dieci canzoni pronte e nessun cantante che le interpretasse! Anthony, allora, ci parlò di questo suo amico di lunga data, Brian Templeton, insistendo nel dire che, se Sugaray non poteva più essere della partita, lui aveva l’uomo giusto col quale sostituirlo! Così, mandai a Brian un paio di brani sui quali registrò la voce e il risultato fu proprio quello che speravamo di sentire. Anthony aveva ragione: Brian era l’uomo giusto!
Arrivammo a metà estate e mi ritrovai a lavorare alla registrazione dei fiati, arrangiati dal mio amico Joe MacCarthy e dal resto dei ragazzi, incluso il leggendario Chris Mercer (Bob Marley, Buddy Guy, The Pretenders etc..). Brian, poi, prese un biglietto aereo e venne a registrare la voce. Eravamo, ormai, in autunno e devo dire che fu un vero piacere incontrarlo per la prima volta. Anche Brian fece base qui, a casa mia, e fu davvero molto semplice lavorare con lui. Si rivelò estremamente preparato e cantò tutte le dieci canzoni in due giorni: incredibile! E’ veramente un tipo super; un “family man” come tutti noi. E, anche se non ci eravamo mai conosciuti prima, incontrarlo fu come rivedere un vecchio amico perduto negli anni. Musicalmente, poi, fu perfetto nel portare al progetto la sua visione, restando comunque fedele a quella vecchia scuola dalla quale tutti noi proveniamo.
MB: come, in parte, hai già ricordato, tutti voi avete avuto solide collaborazioni musicali nel corso degli anni. Oltretutto, c’è un denominatore comune tra te, Willie e Kid: l’aver fatto parte di un gruppo leggendario come i Fabulous ThunderBirds e, successivamente, dei Mannish Boys. Inoltre, tu hai suonato, tra gli altri, con Mark Hummel, Fiona Boyes Doug MacLeod per citarne solo alcuni. E ancora: Brian è stato, prima, il cantante dei Radio Kings e poi ha intrapreso una sua carriera solista. Ultimo, ma certamente non meno importante, Anthony Geraci che è stato, ed è ancora, un membro effettivo dei Bluetones, la band di Sugar Ray Norcia. Anche come conseguenza di ciò, questo cd sembra tradire, in qualche modo, tutte quante le vostre influenze e precedenti esperienze….
JB: sì; e grazie per averlo notato! Come ho detto, noi tutti amiamo e veniamo dalla vecchia scuola del blues anni ‘50 e ‘60. Ma come siamo arrivati ad amare questa musica è stato, per ognuno di noi, un viaggio sicuramente molto interessante, ma anche estremamente personale. Proprio come molti dei nostri eroi musicali, che hanno ascoltato tanti altri tipi di musica prima di diventare quello che sono diventati, così è stato anche per noi.
MB: musicalmente parlando, quale è stata la 'luce guida' che hai seguito mentre formavi la band e il relativo repertorio? Hai tenuto a mente qualche particolare artista o suono o idea su cui basarti?
JB: no, non avevamo nessun obiettivo particolare in merito a come avremmo voluto che fosse il suono di questa band.  Tutto ciò che sapevamo era che, a differenza delle altre band nelle quali avevamo suonato, ora volevamo fare della musica a nostra immagine e somiglianza. Non volevamo che nessuno ci potesse dire “no, quello non lo suoni” o “quel pezzo suona troppo rock per questa band o per quest’album”!
In ogni caso, queste sono state le canzoni che siamo stati in grado di registrare nel poco tempo che abbiamo avuto a disposizione. Onestamente, pensavamo che saremmo riusciti a registrare quattro o cinque pezzi al massimo, considerando che potevamo contare giusto su tre o quattro giorni e che, nel frattempo, avremmo dovuto anche tenere due concerti, uno dei quali a cinque ore di macchina da casa mia e, dunque, dallo studio di registrazione!
MB: ascoltando l’album, mi sembra evidente che questo è un disco dove chitarra, tastiere e voce giocano un ruolo chiave….
JB: certo; del resto, in tutta franchezza, stiamo parlando di un personaggio come Kid Ramos, uno dei chitarristi migliori e più soulful del pianeta, di un pianistta che può suonare come Otis Span o Oscar Peterson a piacimento e di un cantante che instilla così tanto di sé stesso in ogni frase da essere letteralmente devastante. E mi piace pensare che Willie J. e io ci teniamo su a vicenda e gettiamo delle solide fondamenta. Ma è solo una mia opinione! - ride -
MB: la band è completata, poi, da una solidissima sezione fiati, che conferisce un suono massiccio e caratterizzante, grazie anche ad arrangiamenti davvero eccellenti...
JB: vero. Gli arrangiamenti, come detto e con la sola eccezione di Right Track, sono opera di Joe MacCarthy. Joe ha un incredibile talento nel prendere canzoni già registrate (persino quelle come City Dump, che erano state puramente improvvisate), e fare in modo che i fiati calzino sempre a pennello come se fossero stati lì fin dall’inizio. E’ veramente incredibile perchè molti arrangiantori, a differenza sua, non perderebbero tempo a studiare il modo per rendere i fiati come fossero davvero parte integrante della band. Gli altri direbbero: “metto una nota qui, una là e così per tutto il pezzo, altrimenti, troppo lavoro!”. Ma non Joe! Più ascolti i dettagli che ha introdotto nell’arrangiare i fiati, più apprezzi il suo lavoro. Così, certamente i fiati sembrano davvero parte della band tanto che non vorremmo più suonare senza!
MB: musicalmente parlando, 'Wild Again' oscilla tra un sound tradizionale e un blues con moderne sfumature rockeggianti: la parte più tradizionale è rappresentata da brani come lo shuffle 'City Dump', 'Don’t Leave Me This Way' di Dave Bartholomew e Fats Domino dove Kid Ramos suona un po’ alla Albert King e 'If You Be My Baby' di Peter Green, con Ramos calato in uno stile e un suono alla BB King….
JB: sì, vero, anche se nulla è stato pianificato in quel senso. Non avevamo un’idea preconcetta sul fatto che l’album avrebbe dovuto includere tutti quei generi. In altre parole, sono state le canzoni stesse a indicarci come avremmo dovuto suonarle. Direi proprio che è stato mentre ci trovavamo in studio a registrare che abbiamo preso delle decisioni spontanee su come le canzoni avrebbero dovuto suonare. Per esempio, con If You Be My Baby, ho aperto la porta di una delle stanze dove ci sono gli amplificatori e ho lasciato che Anthony suonasse il piano acustico dal vivo nella stanza vicino alla batteria. Alla fine, molto del suono della batteria è stato catturato dai microfoni del piano; inoltre, ho anche usato un largo microfono a condensatore nell’altra stanza che pure ha catturato il suono della batteria. Così, tutti i microfoni si sono fusi tra loro creando un vero live sound. Ecco perchè quel brano suona così tradizionale e simile a una vecchia registrazione di BB King. Effettivamente suona diversa dalle altre sebbene, come detto, nulla sia mai stato pianificato a tavolino prima dell’avvio della session di registrazione. E’ un po’ come se quella canzone volesse dire all’ascoltatore: “nel caso te lo fossi scordato, questo è il mondo dal quale arriviamo!”
MB: la parte, per così dire, un po’ più rockeggiante del disco è, invece, rappresentata dal pezzo di apertura, 'Cheap Thrills', un inedito scritto da te, da un altro inedito come 'Why Baby Why' scritto da Anthony Geraci, 'Right Track Now' e l’omonimo 'Wild Again'….
JB: ho scritto Cheap Thrills durante la mia giovinezza, quando suonavo con Rod Piazza. In origine era una canzone in stile pseudo Chuck Berry ma, per Rod, era un po’ troppo rock. Così, quando mi unì ai Fabulous Thunderbirds, nel 1996, ne registrammo un demo con Kim Wilson. Kid Ramos ideò la linea della chitarra e Willie quella del basso, indirizzando il brano verso un groove un po’ più duro. Era perfetto come demo, ma Kim non fece altro che leggere letteralmente il testo mentre la registravamo e così fu abbandonata. Incisi, poi, quella versione, in uno dei miei dischi solisti, Jimi Bott Live vol. 1. Ironia della sorte, quel brano diventò un hit in Finlandia per un certo periodo e una cover band locale dei Fabulous Thunderbirds la incluse stabilmente nei loro concerti sebbene noi, come band, non l’avessimo mai suonata dal vivo. La canzone non prese mai una sua propria forma, fino a quando non la cantò Brian, portandola completamente a un altro livello. Quindi, a dire il vero, è lui che sta dietro la storia di questo brano ora.
Anthony, poi, è un ottimo autore. La sua Why Baby Why ha aggiunto una nuova dimensione al disco col suo stile a metà tra accenti latini e R’n’B. E’ un bel pezzo: estremamente divertente da suonare coi fiati. E poi, anche qui, c’è Kid che brilla.
Wild Again ha una storia analoga a quella di Cheap Thrills essendo stata pure realizzata come demo ai tempi dei ThunderBirds. Avevamo scritto la musica mentre Kim Wilson stava accudendo la madre malata. L’unica cosa è che il titolo, in origine, era Trouble Again ed era, comunque, un brano incompleto, tanto che non se ne fece mai nulla. Kid, Willie e io, però, abbiamo sempre amato quella canzone per via del suo suono rude e potente. Mentre pensavamo di inciderla, andai a trovare un amico, qui, a Portland: Dan Berkery, dei The Rose City Kings. Dan aveva appena registrato il suo ultimo disco qui, nel mio studio, ed è un ottimo cantautore. Così lo contattai per sapere se stesse lavorando a qualche nuova canzone e, per una qualche strana congiunzione astrale mi disse proprio che ne aveva appena finita una intitolata Wild Again. Incredibile, considerato che non gli avevo minimamente menzionato il titolo della nostra canzone, invece! E, inoltre, il testo della sua calzava perfettamente sulla musica senza dover cambiare nulla! Ma più ancora di quello, la canzone stessa era diventata qualcosa come una specie di inno per noi. Ogni buona canzone, acquista un particolare significato per ogni singola persona che la ascolta: per me, Wild Again è proprio quello. Vedi, tutti noi siamo stati molto “selvaggi” in gioventù e mi fermerei qui; altrimenti, ci servirebbe un’intera altra intervista per parlarne! Ma direi che, ora che siamo più maturi e padri di famiglia, ci sentiamo nuovamente un po' “selvaggi”, sebbene in un maniera differente. Ci sentiamo musicalmente liberi di esplorare e in grado di darci dentro ancora un po’.
Come già detto, non siamo legati a una particolare visione in merito a come la band dovrebbe essere o suonare. Se pensi a band come i Led Zeppelin (sebbene non ci sia nessun confronto con loro), musicalmente parlando i loro album erano tutti “panoramici”. Non si sono mai preoccupati di cosa la gente pensasse dovessero suonare. Cercavano di fare la miglior musica che potevano. Wild Again, quindi, è la rappresentazione di come ci sentiamo e di quanto siamo eccitati nell’esplorare diverse strade, musicali e sonore.
MB: nel disco, ci sono anche un paio di sorprese. La prima, è una meravigliosa rilettura del Fenton Robinson di 'Loan Me A Dime'. La vostra è una lunga, lenta e un po’ jazzata versione con molto spazio solistico per Kid Ramos…
JB: abbiamo registrato inizialmente Loan Me A Dime solo in quattro senza voce e fiati. Abbiamo abbassato le luci e abbiamo cominciato tutti a cantare questa canzone, ognuno nella propria testa. Abbiamo registrato un’unica take e, tempo che Brian e i fiati fossero anche loro sul pezzo, il gioco era fatto. Infatti, questo brano, malgrado duri undici minuti, è quello preferito dai DJ.
In realtà, la registrazione andava ben oltre quella durata ma, è lì che abbiamo deciso di sfumare il pezzo! E credo che quella fosse stata l’ultima traccia che abbiamo registrato per la session. O, forse, abbiamo fatto Don’t let me Down per ultima…..in ogni caso, queste sono state sicuramente le ultime due registrazioni. Dopodichè, quello stesso giorno, mi restava giusto il tempo per riportare i ragazzi in aereoporto.
MB: l’hai detto...è proprio 'Don’t Let Me Down' dei The Beatles l’altra sorpresa che spunta in chiusura di cd. Sebbene Kid Ramos abbia inserito qualche gustoso intervento di chitarra, questo brano sembra un po’ distante dal resto del disco. Perchè avete scelto di registrarlo?
JB: mi fa piacere che tu mi habbia chiesto di Don’t Let Me Down. Ricordi che prima ho detto che c’era una canzone che non era neppure nella lista di quelle da registrare? Bene, era questa! Per spiegarti, devo tornare all’aprile del 2017 quando stavamo registrando; ed ecco cosa successe allora.
Quel fine settimana, eravamo di ritorno dal nostro secondo concerto al Walla Walla Washington Guitar Festival, a circa cinque ore di strada da qui. Anthony e Kid erano sul sedile posteriore del furgone. Stavamo parlando e ascoltando diversi tipi di musica quando misi un disco di Santana. Kid saltò su confessandoci quanto amava Carlos. Comunque, una volta tornati a Portland, Sugaray dovette ripartire subito col furgone per rientrare a Los Angeles. Tutti noi, invece, ci fiondammo in studio per risentire e aggiustare le precedenti registrazioni, quando Anthony e Kid se ne saltarono fuori dicendo “Hey, perchè non facciamo quel pezzo dei Beatles?!”. Willie e io: “Quale pezzo dei Beatles?”
Scoprimmo allora che, sull’onda di quel brano di Santana - brano in maggiore -, nel retro del furgone si era aperta una discussione tra Anthony e Kid in merito a quale fosse, tra i brani in maggiore che non si ascoltano spesso, quello che avremmo potuto pensare di suonare e fare nostro. Per qualche ragione, Anthony e Kid citarono entrambi Don’t Let Me Down!
A quel punto, però, tutte le chitarre di Kid, così come il suo amplificatore, erano in viaggio per Los Angeles con Sugaray; e noi, non avevamo mai suonato quella canzone prima! Così tirammo fuori da Youtube l’ultima performance dei Beatles e la ascoltammo un paio di volte. Quindi Kid afferrò, da uno dei muri del mio studio, la SG di mio padre e, credo, il mio amplificatore Fender Champ. Suonammo la canzone una prima volta, ma senza un buon risultato. Era dura senza un cantante, così Kid provò a canticchiarla per guidarci e, al secondo tentativo, fu fatta! Successivamente, aggiunsi appena due suoi assoli alla fine del brano. Gli dissi che avevamo già abbastanza takes anche se, in verità, tutti noi avevamo preso gusto allo stile in cui la stava suonando e a quanto ci stavamo divertendo che ne avremmo registrate volentieri altre!
Il fatto è che, mentre stava registrando il secondo e il terzo assolo, non potè ascoltare le precedenti takes del brano e questo è ciò che è veramente straordinario e che dimostra tutto il suo genio.
Dopo che ebbe registrato le sue parti pensai che, considerato il fatto che ogni take era così diversa dall’altra, potesse essere divertente suonarle tutte assieme e, magicamente, la cosa funzionò. Questo è il motivo per cui, alla fine della canzone, si sentono tre chitarre! Del resto, molti di noi, Kid incluso, hanno amato le prime registrazioni degli Allman Brothers, specialmente Live At The Fillmore. Anthony, poi, aggiunse prima il Rhodes e poi l’Hammond e il gioco fu fatto.
MB: questo è il vostro primo album ed è stato registrato nel tuo studio casalingo. Per questa ragione come per il fatto che ogni membro di questa band è, anche principalmente, parte di altre precedenti band, si potrebbe essere indotti a credere che questa potrebbe essere la registrazione fatta da un gruppo di amici alquanto impegnati che, durante una pausa tra un tour e l’altro, si sono ritrovati, un po’ per gioco, a registrare un disco. Se non è così e dietro c’è, dunque, una qualche progettualità, cosa possiamo aspettarci per il futuro?
JB: è vero, siamo tutti molto impegnati ma tutti quanti noi vogliamo davvero fare di questa band la nostra priorità. Detto ciò, dopo aver debuttato, il 4 di luglio scorso, al Portland Waterfront Blues, e dopo l’uscita del disco, la macchina è partita. Abbiamo firmato un contratto con la Intrepid Artists International di Rick Booth e stiamo lavorando per partecipare a diversi festival nel 2019 perchè, sfortunatamente, per il 2018 i giochi sono ormai tutti fatti!
Questo è uno dei problemi: quando si parte con una nuova band, ci sono un sacco di “stop and go”. Lavori duramente per far uscire presto un disco di cui vai orgoglioso in modo che la gente possa cominciare a conoscerti, anche se ormai facciamo questo lavoro da quasi quarant’anni. Poi ci sono i tempi di attesa dovuti al fatto di riuscire a far sapere ai vari promoter che ci sei anche tu. Già in molti ci hanno richiesto per il prossimo anno e, se dovessi dire, penso che ci concentreremo sul suonare in Canada e anche in Europa. Vogliamo che The Proven Ones sia un evento speciale, qualcosa che non capita di vedere tutti i giorni. Il pubblico europeo e, in generale, quello non americano, apprezza molto. Amiamo il nostro pubblico locale, ma non ci va molto l’idea di salire di nuovo su un furgone e girare all’infinito per gli States. Quello lo abbiamo già fatto abbastanza.
E’ probabile che suoneremo in Svizzera nell’estate e nell’autunno del 2019. Oltre a questo, abbiamo già cominciato a pensare di registrare altro materiale ma, se devo aggiungere una cosa è questa: per Wild Again, abbiamo deciso di fare tutto da noi per non avere un padrone o un'etichetta discografica che ci dicessero cosa suonare o cosa no, quando e come. Vogliamo fare musica tra noi, con noi e con la gente che amiamo ma, questa libertà ha un prezzo. Pubblicare un disco, oggi, è costoso e la diffusione dello streming ha reso alquanto duro il recupero delle spese. Con lo streaming, all’artista arrivano frazioni di centesimo. Ci vogliono centinaia e centinaia di ascolti per far su un dollaro! Le vendite dei cd sono minime e al fine di riuscire a portare la nostra musica a chi la vuole ascoltare, ci affidiamo soprattutto alle vendite tramite siti come CDBABY. Quindi, vorremmo dire ai nostri fans e a chiunque voglia ascoltare la nostra musica, se vi piace, procuratevi una copia del disco e non limitatevi al solo streming! Grazie a tutti e speriamo di vederci in qualche festival dalle vostre parti nel 2019!
Torna ai contenuti